saviano paralimpico

Saviano torna in tv.
Saviano parla di «ferite sanate».
Saviano non le manda a dire.

Saviano parla di altre ferite e di straordinarie capacità di sanarle: affronta di petto il tema dei diversamente abili, della loro “straordinaria voglia di vivere” e della lezione che da loro – “dalle loro abilità diverse” – arriva a tuti noi.
Quanto di più lontano dal pietismo o dalla compassione.

A parte il titolo – l’«inno», che insomma… – volevo chiedere a chi ha scritto l’articolo (senza nessuna distanza critica: SavianoèbeneSavianoèbravoSavianolecantachiareSavianoèundio) quale «lezione» impara dagli handicappati che non vincono le paralimpiadi, da quelli che non sanno camminare, parlare, gioire per un motto di spirito, andare in bagno da soli, o anche solo farti capire che devono andare in bagno.

Che questo sia lontano dal pietismo è vero: infatti è parente stretto della «personaggizzazione», del bisogno di rendere gli altri un simbolo, della necessità di fare degli altri degli eroi violentandone la vera storia a tal punto che alla fine essa conta solamente nella misura in cui noi possiamo farne un uso che ci consente di trarne qualche morale.

Da questo punto di vista, anche Saviano è assimilabile a un atleta paralimpico.

Ma meno male che c’è lui, ci informa il pezzo:

[…] Saviano ne parla […] senza giri di parole, accompagnando gli spettatori in un rovesciamento dei luoghi comuni.
«Quando si parla di diversamente abili si pensa che sia un modo gentile per dire handicappati, e invece significa abilità diverse, abilità che il normodotato non ha».

Non mi pare un gran rovesciamento dei luoghi comuni quello che ti spinge a guardare a una persona «diversamente abile» (ahahah) come qualcuno che sa vincere, sa competere,

attua[re] delle strategie per stare al mondo. […]

Come lo scritt-intellett-simb-showman ci spiega,

Guardare al mondo della abilità diversa ti dà una traccia, una strategia che in questo momento di crisi può essere utile.

Sono utili, i «diversamente abili».
Almeno se sono atleti paralimpici che vincono 28 medaglie, proprio come gli atleti normodotati, pensa la fortunatissima coincidenza.
Forse sono proprio come noi, caspita.

L’argomento torna periodicamente quando si tratta di parlare di persone che hanno la sindrome di Down.
C’è qualche attore Down, mi pare.
E ci sono perfino persone Down che si laureano, bella gente.
Vedete? I «diversi» sono «uguali»!

Ma non sarebbero da rivendicare la diversità e la differenza, al mondo?
Non avrebbe senso pensare che siamo tutti diversi e che questo è il grande valore della vita?

Immagino che qualcuno possa dire «eh, ma parlare degli atleti paralimpici è meglio di niente; almeno, così, in tv s’è parlato di handicap».

Forse.
Ma se questo è vero, allora bisogna anche essere compiaciuti – e molto – quando si parla delle ragazze che forse Berlusconi pagava, perché in quel caso – finalmente, eccheddiavolo – si sta parlando senza tabù del tema della prostituzione.