espatrio/2: bocche chiuse


Leggo sul Corriere online che la Federazione nazionale della stampa, cioè il sindacato unico di categoria, nella persona del suo segretario generale Giovanni Rossi, l’Ordine regionale e nazionale dei giornalisti, e il presidente del consiglio regionale della Calabria hanno firmato un accordo in cui si stabilisce che i giornalisti hanno l’accesso – e solo nelle giornate in cui si riunisce il consiglio regionale – solamente a una parte limitata dell’edificio in cui si svolge il consiglio regionale, che non sarà possibile intervistare né rivolgere domande ad alcun consigliere al di fuori dei luoghi che a questo scopo sono stati deputati.

Se, per caso, il giornalista incontrasse sulle scale il «consigliere x», gli è vietato porgere domande, pena la cancellazione dal registro degli accreditati.

E qual è la motivazione addotta dagli organismi di categoria?
A leggere il pezzo, questa:

[È] «una scelta per tutelare i professionisti e pubblicisti con contratto, evitando che il Palazzo del Consiglio sia frequentato da cronisti precari».

Credo che sia una motivazione agghiacciante, e tento di spiegare perché.

Innanzittutto – indipendentemente da ogni altra cosa – il consiglio regionale è l’assemblea dei rappresentanti che sono stati eletti dai cittadini: limitare la loro facoltà di parlare e limitare la facoltà dei giornalisti di chieder loro conto e ragione di quel che fanno è un’iniziativa di gravità mai vista, che cancella il principio del diritto-dovere di informare i cittadini.

Da un altro punto di vista, mi domando perché gli organismi di categoria si pongono il problema di far certificare (ad altri soggetti, poi, e questo è un inquietante atto di sottomissione che lascia i giornalisti più soli e indifesi, e proprio per colpa degli organismi di categoria) chi sia titolato o no ad entrare al consiglio regionale.

Non vogliono che ci entrino i precari, dicono.

E perché?, io mi domando.

Verosimilmente, risponderebbero che ci sono troppi precari sfruttati dagli editori, e che l’iniziativa serve a tutelare la qualità del lavoro dei giornalisti doc.

Be’.
Se i precari sono sfruttati dagli editori, perché Fnsi e Ordine non se la prendono con gli editori, invece di prendersela con la libertà di stampa che dovrebbero difendere?
Forse perché – a parte quello di dire signorsì agli editori facendo finta di aver detto signornò – non hanno nessun potere nelle redazioni, e vanno a cercarselo fuori?

Vanno da mamma a farsi aiutare, e nel contempo nemmeno si accorgono di quel che dicono: e cioè che chi è precario – non, attenzione, chi non è giornalista. Chi è ‘precario’, indipendentemente dal fatto che sia o no iscritto all’Ordine – non deve essere ammesso a svolgere la professione.

Cioè, per capirci: un free lance che, indipendentemente da qualunque testata, vuole verificare qualcosa al consiglio regionale (una delibera, un atto, un indirizzo, un verbale…), non può farlo.
E non può farlo non perché glielo impedisce un qualche potere di cui il giornalismo potrebbe rappresentare il controcanto, ma proprio gli organismi della sua categoria.

Se questo è il sindacato, sono fiera di non avere voluto rinnovare la tessera.

Se quel che scrive il Corriere online è vero – e io non posso esserne certa – sindacato e ordine hanno sottoscritto un’intesa indegna.