parole-corpo

finestraPer strade strambe, capita che proprio oggi mi sono messa a pensare alle parole e ai loro legami con la relazione, con i luoghi, con la pelle, con l’altrove, con l’eros.

Mi rendo conto che le parole sono ritmo e respiri, e che l’ambizione massima che ho sempre avuto – la scelta della parola inequivoca, la resa sintattica esatta, il progressivo restringimento dell’area di senso a cui intendo riferirmi – si scontra con il bisogno di far largo a una dimensione nella quale la parola viene accolta e lasciata cadere per sentire l’effetto che fa, per sentire il rumore della sua eco, per farla lavorare dentro di noi.

La parola che rimpicciolisce e la parola che ingrandisce hanno una natura diversa anche se hanno lo stesso suono.
La loro natura dipende dal contesto.

Un «sì» intimo sussurrato e sorridente è la stessa parola con cui rispondiamo alla domanda con cui ci chiedono se abbiamo fatto la doccia: ma il primo sì atterra morbidamente in uno spazio caldo e largo; il secondo, in un minuscolo slot fatto su misura delle due lettere di cui la parola è composta.

È la seduzione della parola quello che mi fa paura.
Mi ha sempre fatto paura.
È enormemente attraente, ma si mangia il corpo.
E a me, invece, piacciono le parole-corpo.