treccine e diavoletti

Una delle cose più emozionanti che mi capitino nella vita è essere sorpresa da me stessa.
Proprio nel momento in cui penso di essermi diventata prevedibile, ecco che compare un diavoletto nuovo.
Spesso – quasi di regola – è un diavoletto che mi sorprende per il suo coraggio.

Ieri sera, per esempio.

Ho incontrato una conoscente che non vedevo da molto tempo.
«Come stai?», mi ha chiesto.
«Il lutto è pesante», le ho risposto. Avrei voluto spiegare meglio, ma ho capito che lei non aveva voglia di ascoltare niente di serio, niente che potesse metterla a disagio, farla pensare a cose che non aveva voglia di affrontare.

È imbarazzante quando mi rendo conto che qualcuno mi chiede come sto non è disponibile ad ascoltare una risposta, che vuole solo sentire che sto bene e questo è quanto.

Comunque.

Io non ho alcun amore per i cani.
Non che li detesti. Ma mi trovo meglio coi bambini, ecco. Coi bambini e coi gatti.
Al cane di questa conoscente, però, avevo fatto le feste.
«No, non fare così», mi ha detto. «Ha ancora dei problemi».

I problemi del cane – che indossava un cappottino che mi è stato definito «cappottino antistress» – consistono nel fatto che è spaventato dai rumori, dal caos, dagli esseri umani; per questo, è seguito da una psicologa.

«Quanto tempo è che è morta tua mamma?», mi chiede la conoscente. «Un anno, no?».
«No», le dico. «È morta in agosto».
«Ah».

Passa un po’ di tempo, e mi domanda di cosa è morta.
«Di niente», le dico. «Di depressione, credo».
Resto sul vago con intenzione. Non ha voglia di sapere, non ho voglia di spiegare.
Ma lei si accende. Ha trovato il varco.
Conosceva mia madre.

«Sì», mi dice, «la vita di tua madre era veramente troppo pesante. Lei era ormai ai limiti della pazzia».
«Ha avuto una vita molto dura, in effetti», rispondo.
Ah, la mia buona educazione.

«Eh, sì», dice: «lei era proprio ai limiti della pazzia».

Stavamo parlando abbastanza vicine.
Con noi c’erano altre due persone.
In un momento ho preso la decisione che non avrei mai creduto di essere capace di prendere.
Il diavoletto.

Ho lasciato lei, il suo bicchiere e il suo cane spaventato là dove si trovavano, e mi sono mossa verso le altre due persone, senza dire una parola; neanche «scusa un momento».
Ho fatto un gesto forte. Lo so.

Poco dopo, mi si è riavvicinata lei.
«Non vorrei che prima avessi capito male», mi dice. Non: «Potrei essermi spiegata male».
«Oh, no», rispondo. «Non ti preoccupare. La vita di mia madre è stata veramente molto dura. Ho capito cosa intendevi».

Immagino che potesse non intendere precisamente che mia madre era pazza, o vicina a diventarlo.

Eppure, con l’aiuto di alcuni diavoletti che hanno accompagnato la bambina con le treccine che finalmente mi porto sempre con me, c’è un paio di cose che sto finalmente scoprendo.

Una è che le intenzioni non contano poi tanto quanto ci hanno fatto credere.
Quando una cosa fatta con buone intenzioni ti fa soffrire, il fatto che le intenzioni fossero buone non limita la portata del danno o della ferita.
E una persona ferita non ha il dovere di capire le buone intenzioni di nessuno, perché ha prima di tutto l’obbligo di occuparsi della propria ferita.

Un’altra è che se c’è qualcosa che non mi piace, io me ne allontano.
Non importa quanto apparentemente maleducato possa apparire il mio gesto.
È una reazione, in genere, a comportamenti screanzati tenuti verso di me.

La buona creanza, la considerazione degli altri, il rispetto* sono le virtù più importanti.

Io devo difendere una bambina con le treccine.
Io ho un diavoletto sempre nuovo.
Io sono fiera di saper muovere i piedi e lasciare da sole, a guardare un muro o qualsiasi altra cosa, le persone senza creanza.

Gentilmente, diamoci del lei.

Raramente sono stata fiera di me come ieri sera.

*(Non parlo di quel «rispetto» a cui il direttore del giornale dove lavoravo ha fatto riferimento, da teste che aveva giurato di dire tutta la verità, consapevole della responsabilità penale che assumeva, nell’udienza della causa che ho intentato contro la mia vecchia azienda; quello è solo una parola che non diventa mai un comportamento)

(Alcuni dei miei nuovi diavoletti sono qui, in queste parole di Julio Velasco)