emanuela orlandi, marcinkus e l’arroganza vaticana

Com’è facile approfittare della debolezza delle persone per diventare ancora più forti, più monumentali – più arroganti – come istituzione.
Lo pensavo leggendo il comunicato del direttore della sala stampa vaticana Federico Lombardi, che definisce infamanti le accuse che l’ex fidanzata di uno dei boss della banda della Magliana muove al vescovo americano Paul Marcinkus in relazione al rapimento e all’omicidio di Emanuela Orlandi.
L’accusa, scrive Lombardi, «è proveniente da una testimonianza di valore estremamente dubbio», e «Sua Eccellenza Mons. Marcinkus è morto da tempo e impossibilitato a difendersi» (l’insolente abbondanza di maiuscole e l’abbreviazione sono nell’originale).

niente accuse dalla plebaglia (ma ora che ci penso neanche dai magistrati)

Certo: quella donna ha un passato nella tossicodipendenza; non è l’immagine della rispettabilità che è tanto cara al Vaticano; ha avuto una storia d’amore con un boss della Magliana (che però – chissà poi perché – è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare, a Roma, vicino a salme della nobiltà papalina), e non è così charmant come le avventizie dei tanti eminenti e rispettati figuri che di giorno si professano cattolici e di notte dimenticano la fede e ricordano all’improvviso quant’è bello l’amore allegro.
Ma come mai, mi viene da dire, quando le accuse allo stesso monsignore venivano da fonti assai più autorevoli – e mi riferisco alla magistratura che nell’87 ne ordinò l’arresto, al quale Marcinkus si poté sottrarre in virtù del regime dei Patti lateranensi – erano cionondimeno esse da tenersi anche allora in così scarsa importanza da non esser mai bastate a spingere la Chiesa a trarne qualche conseguenza?
Erano gli anni delle indagini sul crac del Banco Ambrosiano; e Marcinkus era il plenipotenziario dello Ior, la banca vaticana: e là rimase indisturbato fino all’89.

e niente accuse da quei volgari bastardi della stampa

Questa, tra l’altro, non è nemmeno l’unica cosa che mi colpisce, in questa nota di Lombardi.
Lui pensa che sia il caso, in questa situazione, di fare un bel fervorino alla stampa italiana. La quale io per prima giudico effettivamente colpevole di una lunghissima serie di acrobatiche efferatezze, ma non per definizione sempre e comunque colpevole di tutto ciò che non piace al potere. «Non si può non esprimere un vivo rammarico e biasimo», scrive, «per modi di informazione più debitori al sensazionalismo che alle esigenze della serietà e dell’etica professionale». Lombardi riesce a dirsi colpito dall’«amplissima divulgazione giornalistica di informazioni riservate».

Come al solito, se le informazioni riservate escono allo scoperto, non è merito di un giornalista che ha fatto il suo lavoro e se ne è assunto tutte le responsabilità civili, penali e professionali, ma colpa del malsano desiderio giornalistico di fare uno scoop, cosa che noi fini intellettuali sappiamo benissimo essere del tutto secondaria rispetto alla sacra tutela della privacy e anche – diciamocelo – rispetto alla buona educazione dell’uomo di mondo.

Ma Lombardi fa di più: vuole insegnare il mestiere ai colleghi. Le informazioni, manda a dire, non sono state «sottoposte ad alcuna verifica». Ma se – come al lucidissimo Lombardi non sfugge – Marcinkus è morto, ha un’idea il direttore della sala stampa vaticana del luogo nel quale si sarebbe dovuta verificare questa notizia?
Se una teste dice che Marcinkus era il mandante dell’omicidio Orlandi io giornalista posso dubitare della veridicità della notizia, certo: ma che quelle affermazioni siano una notizia, beh, di questo non solo non posso dubitare, ma sono anche costretto a tener conto.

In altri termini, la mia professione mi costringe a scriverla, perché io sono tenuto dal mio codice deontologico a scrivere tutto ciò che so.
Posso eventualmente dire che la fonte è dubbia, se mi sento così limpido da buttare la croce dell’inattendibilità addosso a una povera donna; posso anche dire che Marcinkus non c’è più e non può difendersi (ma naturalmente se fosse ancora vivo non credo che sarebbe stato di grande aiuto per le ricostruzioni giudiziarie o anche solo giornalistiche).
Ma devo comunque scrivere.
E il titolo di quella notizia sarà anche grande.
Perché Marcinkus era un monsignore.
Perché Marcinkus doveva essere arrestato nell’87 e non lo fu.
Perché – comunque – le ragioni per cui una notizia è notizia le posso decidere, assumendomene la piena responsabilità civile, penale e professionale, solo e soltanto io che sono un giornalista, e non il Vaticano, o un politico, o il presidente del Consiglio, o il capo dell’opposizione, o dio.
Perché questo è il mio lavoro.
Per questo ho fatto un esame di Stato nella cui commissione c’era anche un magistrato.
Per questo il mio ordine professionale – se ne discuta quanto si vuole – è emanazione del ministero di Grazia e giustizia.

L’ultimo attacco che Lombardi sferra da par suo è quello moralistico: campo in cui la sua chiesa è francamente insuperata.
Lo sa, la stampa, che cosa ottiene, scrivendo di queste bazzecole strillate maleducatamente e non verificate? «Ravviva il profondissimo dolore della famiglia Orlandi senza dimostrare rispetto ed umanità nei confronti di persone che hanno già tanto sofferto».
Crudeli bastardi, eh, i giornalisti.
Ma quando la Chiesa nemmeno rispose alle richieste di ispezione della sepoltura del boss della Magliana dove – là nella basilica – qualcuno sostiene si trovi il corpo di Emanuela Orlandi, beh, in quel momento Lombardi pensa che furono sempre i giornalisti a ravvivare il profondissimo dolore della famiglia? Sempre loro, a non dimostrare rispetto e umanità nei confronti di persone che hanno già tanto sofferto?

Ma mi faccia un piacere!