ho inventato un neologismo, mi sento molto meglio

Nella vita, di cose di cui andare fieri ce n’è sempre una in meno di quel che si desidererebbe.
A volte, però, riesce a essercene una in più: quella inattesa, che proprio non ricordavi che ti avesse coinvolto.
Ho scoperto da poco che nel 1991 ho partecipato (come testimone? Come inventrice inconsapevole? Come creatrice conscia? Non mi ricordo) alla coniazione – ebbene sì – di un neologismo della lingua italiana.

Leggo sul sito di Michele Cortelazzo, nome cospicuo dell’accademia italiana (è ordinario di grammatica italiana all’università di Padova, dove tiene anche i corsi di Lingue speciali dell’italiano, Linguistica italiana e Scrittura di base in lingua italiana; ma segue anche un sacco di altre cose, e tutte tremendamente interessanti, come il Centro di documentazione sul linguaggio giovanile del dipartimento di romanistica) che tale Federica Sgaggio, che effettivamente sono io (cioè ero io, una me ragazza e piena di confuse e luminose speranze) aveva detto una cosa che – accidenti – il linguista aveva giudicato degna di nota.

Copio il passaggio da questa pagina: «Retino è una neoconiazione che significa “appartenente al movimento politico La Rete ed ha fatto la sua prima, e per ora unica, apparizione nel “Manifesto” del 24 novembre 1991, dove, sia pure ammantata dalla cautela del corsivo, viene usata due volte (uno dei due esempi: «Federica Sgaggio di Verona… dice chiaramente di “non voler morire retina”»).

Non so se altri abbiano utilizzato l’aggettivo dopo di me, che fui virgolettata – se non ricordo male – in un pezzo che sul “Manifesto” scrisse Andrea Bianchi.
Però va detto che se l’aggettivo non ha effettivamente avuto tutta la fortuna che magari avrebbe – forse non politicamente – meritato, beh, questo fatto Cortelazzo l’aveva previsto: «Il suffisso -ino», scrive, «è uno dei mezzi usati per formare gli aggettivi di relazione collegati ai nomi dei partiti e movimenti politico-sindacali italiani». Ma «quando il punto di partenza è un sostantivo» (come in «rete»), «il suffisso usato è -ista».
Suffisso che, ben più linguisticamente ancorato nella tradizione, ha portato già tre volte al governo personale politico che effettivamente sarebbe suonato molto peggio chiamare «leghìno».

«Possiamo allora concludere», argomentava in effetti in quel 1991 Michele Cortelazzo, «che ci sarebbe da stupirsi se si affermasse “retino” in riferimento alla Rete».

Così ora mi è più chiaro il perché di molte cose. Anche la lingua italiana, oltre che la prospettiva politica, dava torto alle possibilità di sopravvivenza di quella mia esperienza…

p.s. Consiglio la lettura di questo pezzo che Cortelazzo ha scritto in febbraio sul «Corriere del Ticino». Si intitola «Riflettendo sul fantasioso “imperfetto del carabiniere”», ed è molto carino.