ma che ci faccio qua? (o anche là?)

Il rumore delle onde, l’assenza del frastuono dei motori, il vento, il suono delle cicale e l’ozio come pratica di vita mi rendevano più lieve leggere le notizie italiane.
Tant’è, in effetti, che in vacanza ho perfino comperato i giornali.
Ora che son rientrata reggo le notizie interne con più fatica.

Tanto per cominciare, subito dopo il caffè ho preso una guida stradale dell’Irlanda, per dare un’occhiata – come se realmente me ne importasse qualcosa, e per giunta in questo preciso istante – al tipo di strada che collega Dublino a Limerick.
Sì, lo so anch’io: cose migliori e più utili da fare (tipo disfare le valigie) ce ne son parecchie.
Però, per consolarmi sono andata a vedere un pochino di stampa straniera.
E ho scoperto, nell’ordine, questo.

Uno.
Dall’Irish Independent ho appreso che le macchinette per misurare il tasso alcolico dei guidatori sono del tutto inservibili: la soglia è stata abbassata in autunno – con grave disappunto degli «elettori rurali» – da 80 milligrammi di alcol per 100 millilitri di sangue a 50 milligrammi; e il giornale avverte che per superare il limite basta un drink.
Le macchinette, comunque, non sono abbastanza sensibili per riuscire a precepire una soglia così bassa. E pare che per ottenere macchinette adatte allo scopo ci possa volere almeno un altro anno (ma è possibile che si slitti al 2010).
In termini – come potrei dire? – generici, la notizia mi sembra dotata di un certo potere consolatorio.
Almeno fino al momento in cui – nel bel mezzo di questa storiella così «italiana» – mi ricordo che l’Irlanda è il Paese nel quale a volte mi fa piacere pensare di ritirarmi.

Due.
Sul Guardian leggo che le leggi sulla diffamazione a mezzo stampa in Inghilterra e Galles sono tremende, e implicano l’inversione dell’onere della prova; cioè non è chi supponga diffamatorie le cose che qualcuno ha scritto a dover dimostrare di essere stato diffamato, ma chi ha scritto a dover dimostrare che la diffamazione non sussiste.
«Preferirei finire in galera per un po’ di settimane dopo aver commesso un crimine», scrive George Monbiot, per il quale queste norme sono «a uso esclusivo dei milionari», «piuttosto che trascorrere cinque anni combattendo per difendermi da un’accusa di diffamazione, costretto a perdere la mia casa e tutti i miei risparmi».

E la legge – dice Monbiot – dispiega i suoi effetti perversi anche se tu pubblichi all’estero qualcosa che qualcuno ritenga diffamatorio, perché basta che colui che si sente diffamato possa dire che ti ha letto anche un solo inglese o un solo gallese, e tu sei fritto.

A modo suo, è consolatoria anche questa notizia, no?
Alla faccia del giornalismo britannico (il quale peraltro dà giusto oggi notizia che un esperto chiede che la soglia alcolica ammissibile nei guidatori più giovani sia pari a zero).
Ma allora: perché nonostante tutte queste consolazioni io non mi sento per niente più allegra al pensiero di essere tornata?