perché «due colonne» ha un suo perché

Ho pensato di fare un esercizio: recensirmi da sola.

No, non è esatto.
È meglio dire così: ho pensato di mettere per iscritto i motivi per i quali «Due colonne taglio basso» è, secondo me, un libro che ha un suo perché.

Non credo che questo esercizio abbia una grande utilità per chi legge il blog o per chi vuol decidere se leggere o no il libro, o magari l’ha già letto.

Però, e chiedo scusa, quest’esercizio ha un senso per me.
E chi legge può benissimo evitare di arrivare fino in fondo al post.

In linea generale, sono assolutamente certa di una cosa: che se non l’avessi ritenuto almeno carino non l’avrei mai spedito a nessuna casa editrice.
Il libro ha certamente dei difetti; ma secondo me – che sono giudice severo, soprattutto quando si tratta di me – i pregi sono di più.

Per me è bello perché racconta una storia intensa, verosimile, ma allo stesso tempo a tratti parossistica, e piena di ritmo.
Perché mentre la trama progredisce, la storia dice anche delle cose e parla anche su molti altri piani oltre che su quello della successione dei fatti.
Perché è molto veloce e concentrato sui dialoghi, che sono verosimili e rapidi, e mi piacerebbe immensamente vedere a teatro.

Perché è scritto in un italiano in cui le parole significano – mi sembra – ciò che dovrebbero significare; e il loro significato riesce a venire identificato senza ambiguità grazie alla densità del contesto, che cala piuttosto energicamente il lettore in un’atmosfera che a me pare favorisca la dissipazione degli equivoci semantici.
Perché esprime sentimenti forti dei quali si riescono a percepire bene i contorni, perfino quando sono vaghi.
Perché non è effusivo e non pretende di farsi poesia.
Perché non ci sono descrizioni pallose inserite a soli fini estetizzanti.

Perché i personaggi hanno molte dimensioni, non sono macchiette, non diventano oleografici anche quando sono tipizzati, e riescono a stare in piedi da soli.
Perché conosco ciò di cui ho scritto, e dunque pur essendo un libro d’invenzione parla di cose verosimili.
Perché anche la trama sta in piedi da sola, e chiunque può leggerla al livello che gli piace di più: meramente formale, per di-vertirsi, oppure lasciandosi toccare dalle correnti che stanno sotto agli eventi.

Perché nessuno dei personaggi è un eroe positivo, e non c’è nessun «signore del male».
Perché non c’è niente di dolciastro.
Perché è nato dal cuore in tre settimane.
Perché ritrovo me stessa – almeno un po’ – in ciascuno dei personaggi.
Perché parla dei giornali senza concessioni al lirico, al romanzesco, al letterario, all’epico.
Perché contiene cinismo ma anche indignazione; e il moralismo precipita in sarcasmo o in ironia, ed è sempre – almeno un po’ – circonfuso da un alone di scetticismo.
Perché il cognome del maresciallo che lavora col pm è quello della madre di mio nonno materno, che si sposò a sedici anni e divenne una donna piena di energia.
Perché il cognome del pm è quello della nonna materna di mia madre, donna deliziosamente tenera e cinica.
Perché racconta cose dei giornali che altrove non si trovano.
Perché ci sono scene che si riescono a «vedere» davanti ai propri occhi.