«ciaograzie» tutt’una parola

Vivo in un posto dove la brutalità e l’ipocrita falsità delle relazioni personali raggiungono livelli parossistici, eppure tutti, composti e ben vestiti, stanno imbozzolati in un’affettata cortesia da cicisbei.

In un luogo dove ogni comportamento sociale viene interpretato secondo le categorie di «educato»/«maleducato» (con accompagnamento di adeguata piccola – ed educata! – smorfia del volto), secondo uno di quei meccanismi on-off che così tanto rapiscono le psicologie semplificate, incapaci di tollerare una qualunque possibilità teorico-filosofica di esistenza di un «non-on» e di un «non-off».

Ebbene. Qui, quando qualcuno vi saluta, ci sono 90 probabilità su cento che vi dica la «parola di (pur)troppo» di oggi, ovvero «ciaograzie» pronunciata con una sola emissione di fiato.
Un mezzo per sentirsi a posto come che sia.
Io il grazie te l’ho detto; per il resto, fa’ un po’ tu.

«Ciao, come va?».
«Bene. Tu?».
«Bene anch’io, sono solo un po’ stanco».
«Taci, non parlarmene».
«Beh, guarda che adesso che è ricominciata la scuola è veramente dura».
«Ah, altro che!».
«Beh, devo scappare».
«Allora ciao».
«Ciaograzie».

Grazie di che?
Bazooka.