italiani brava gente dalla memoria corta

Andrea B. mi segnala questo pezzo di Gian Antonio Stella sul Corriere, e lo ringrazio.

una volta accadeva a noi

L’articolo racconta di molte delle persecuzioni razziste che gli emigranti italiani dovettero subire in giro per il mondo – in Francia, negli Stati Uniti, ma anche in Algeria e in Australia – e le mette a paragone con ciò che qui sta succedendo alle persone che vengono da altri Paesi (non da tutti gli altri Paesi, per la verità…).

ma sì: semplifichiamo!

L’argomento, per Stella, non è nuovo, e già entrò nel libro «Quando gli albanesi eravamo noi», che – per molti versi estremamente interessante – si inserisce però nella logica di semplificazione alla quale anche con il suo aiuto – di Stella, dico – ci stiamo tutti volentieri abituando.

petizioni di principio

Il libro e l’articolo di oggi finiscono per essere non uno strumento che scardina alla base la legittimità politica e culturale degli argomenti razzisti ma una di quelle generiche petizioni di principio che hanno certamente la virtù di sollevare indignazione ma certamente non la capacità di produrre processi di impossessamento collettivo di contenuti per qualche verso politici.

e gli anticorpi?

Nel libro (e in questo pezzo), insomma, non c’è – questo è il mio personalissimo giudizio, è ovvio – nessuna indicazione per trovare dove vendano gli anticorpi al razzismo.

«solo ricordando»

Il pezzo di Stella si conclude con queste affermazioni: «Solo ricordando che siamo stati un popolo di emigranti vittime di odio razzista, come ha fatto il vescovo di Padova Antonio Mattiazzo denunciando “segni di paura e di insicurezza che talvolta rasentano il razzismo e la xenofobia, spesso cavalcati da correnti ideologiche e falsati da un’informazione che deforma la realtà”, si può evitare che oggi, domani o dopodomani si ripetano altre cacce all’uomo».

ma il ricordo non basta

A partire da quest’affermazione che giudico apparentemente piana, quieta e condivisibile, sono però costretta a derivare una conseguenza meno condivisibile, quieta e piana.
Non voglio negare l’importanza assolutamente cruciale della storia e della memoria per la «tenuta» della civiltà umana – e se non fossi intollerante alle lettere capitali sarei anzi tentata di dare l’iniziale maiuscola alle parole «storia», «memoria» e «civiltà» – ma il concetto-chiave della frase citata è che è il ricordo di ciò che si è patito a dover/poter mettere freno al razzismo.

la civiltà è un’altra cosa

Come se noi dovessimo andare in cerca di ricordi per trovare collettivamente la forza di essere civili.

una questione più complessa

Su questo io sono in disaccordo (e – se posso dirlo – mi sembra che anche Mattiazzo facesse molto di più che richiamare semplicemente al dovere del ricordo: parlava infatti di «correnti ideologiche», per esempio, e di «informazione che deforma la realtà»).

il formaggio in freezer

Il ricordo, la memoria, la storia, sono percorsi che non possono essere conservati come un formaggio in un frigorifero o in un freezer di modo da preservarne intatte le qualità nutritive e organolettiche a dispetto del tempo che passa, e pensando di andarli a riprendere quando sarà il caso.
Memoria, storia, ricordo e civiltà sono organismi vivi che devono mescolarsi con l’aria, con l’acqua, e anche con la carne delle persone attuali.

e le conseguenze?

Non basta invocare il ricordo.
Bisogna casomai agire perché il ricordo produca qualche conseguenza operativamente significativa a livello collettivo.
E il compito di rendere «operativi» la presenza e il significato del ricordo spetta ai circuiti della politica e della parola pubblica.

il ricordo può produrre anche vendetta!

Si può benissimo ricordare – vorrei dire a Gian Antonio Stella (che ha la straordinaria capacità di acchiappare i fenomeni sempre e immancabilmente dal corno più semplice, quello che più liscia il pelo ai lettori) – e tuttavia pensare che i francesi di Aiugues Mortes erano dei bastardi, e dunque adesso se ne acchiappo uno lo faccio secco.

il vaccino

Io non sono affatto convinta che il bacillo della memoria dell’emigrazione sia qualcosa a partire dal quale si possa costruire un vaccino valido per un intero corpo sociale, adesso o domani.
Se questo corpo sociale – faccio un esempio volutamente banale – pensa, per la sua maggioranza, che i soldi e la primazia siano le cose più importanti della vita, beh, come si può pretendere che questo corpo sociale spenda qualche energia nel ricordare d’esser stato emigrante e nel decidersi ad accogliere conseguentemente con buona grazia gli stranieri che arrivano qui?

il problema non è tecnico

Il problema, insomma, non è tecnicamente neuronale, ma pienamente politico e culturale.
Appartenente a quei due territori, insomma, che con maggiore ostinazione sono stati distrutti in questi anni, con il concorso – ah, quanto spiace dirlo – di molti e molti e molti giornalisti. Naturalmente non da soli, e naturalmente non tutti consapevoli di ciò che stavano facendo (ma questa è un’altra storia).

un alzheimer individuale?

La memoria non viene distrutta da un morbo di Alzheimer che invidivualmente coglie la maggioranza della popolazione, ma da politiche e da pratiche che – loro sì, al contrario dell’Alzheimer – sono contagiose e inquinanti come i metalli pesanti.

il ricordo è un processo, non un bagaglio

Se Stella avesse ragione, il razzismo italiano sarebbe solo il provvisorio deragliamento di un popolo di «brava gente» che, una volta forzato a ricordare, potrebbe emendare ogni cosa.
Ma non è affatto così.
Il ricordo è un processo, una cosa che vive di ibridazioni e di contemporaneità, e non un bagaglio sigillato col domopak del quale ci si fa carico o ci si sgrava meccanicamente a proprio piacimento, o a piacimento di noi giornalisti.

ho molti amici negri

Il ragionamento di Stella – a me sembra – si può utilmente confrontare alla frase «io non sono razzista: ho molti amici negri».
Quel che dice Stella, infatti, è più o meno questo: «Noi non saremmo razzisti, perché siamo stati perseguitati. E se siamo razzisti, è solo perché siamo un po’ dimenticoni».

un’operazione «a-politica»

Quel che dico io, invece, è che si può benissimo essere razzisti anche ricordando.
A condizione, però, che il ricordo sia quell’operazione forzatamente a-politica alla quale Stella a me sembra riferirsi.