elogio del corpo e del calore

mani_vicineGuardavo le foto delle persone scampate al terremoto abruzzese di stanotte e una cosa mi ha colpito con la forza di una folgorazione.

L’ho sempre saputa; chiunque di noi, immagino, la sa e l’ha sempre saputa, ma la vita quotidiana non ci aiuta a tenerla presente.
E vederla – vederla ripetutamente uguale a se stessa in una serie di immagini struggenti – ce la riporta alla memoria con la violenza di una sberla.

L’unica cosa che consola è il corpo.
I sopravvissuti si riuniscono a coppie e si abbracciano, si tengono caldi e vicini. Usano il corpo dell’altro per sentirsi vivi e consolati.

C’è quasi sempre, nelle coppie che ho visto nelle foto, uno che si assume il ruolo del consolatore dell’altro: in genere è la persona più giovane, perché queste sono circostanze in cui emerge tutta la tenerezza per i vecchi (e i bambini), che ci viene voglia di risparmiare, di portare via, lontano dall’angoscia.

Che mondo assurdo, quello in cui i comportamenti socialmente accettabili impediscono il contatto anche minimo con il corpo degli altri se non in circostanze estreme o segrete.
Che stupidaggine privarci della consolazione del corpo, usandolo solo come maschera, trofeo, o apparenza di cui vergognarsi perché non all’altezza degli standard.

Ieri in piscina guardavo le persone.
I nostri corpi sono tutti usurati, ma sono belli lo stesso, anche quando non lo sono.
Sono i nostri! Non ne abbiamo altri, e da tutta la vita ci sono amici fedeli. Ci consolano, ci rendono vicini, ci aprono la porta dei sensi.