gestire la disperazione/2

la_sbranciconaMi scrive un amico.

Cara Fede,
leggo sempre il tuo blog perché mi diverte e perché è pieno di intelligenza e ironia.
Adesso però stai esagerando!
Che ti è successo? Sei avvelenata, anzi, avvelenatissima! Una furia, una demonia…
Non è che tu non abbia ragione, ne hai da vendere ma non parli più, ruggisci, “moccichi”, sbrani!
E che è? I tuoi familiari che dicono? Hanno paura, immagino!
Sono preoccupato! Non oso pensare cosa accadrebbe se tu incontrassi la Gelmini per strada!
Vado a preparare fave e cicoria per un ospite che oggi piomba qui da me a Roma. Te ne mando un piattino (di fave e cicoria, non dell’ospite)!
Baci.

Grazie per le fave e la cicoria! Arriveranno freddi, però…
Caro amico mio,
se ti prendi il tempo di contarli, scopri che non sono così tanti, i post «da sbrano» (si può dire?).
No, i familiari non hanno paura; ci mancherebbe altro (mi danno da mangiare carne umana ogni tanto, ma sono episodi isolati. A volte mi accontento dell’insalata!).
E – a proposito – se incontrassi la Gelmini per strada le chiederei un’intervista. Sono (sarei) una giornalista; incontrarla mi piacerebbe moltissimo proprio per questo: per farle domande e sentire le sue risposte.
Il problema sarebbe dove scrivere le une e le altre, ma questa è un’altra storia.

Seriamente.
Sono normalmente ponderata e attenta, ma ci sono situazioni e momenti in cui tollerare l’inversione della realtà diventa molto difficile.
Hai ragione: sono avvelenata.
È difficile da accettare perfino per me.
Non so se dipenda dal lavoro che faccio.

Ti invito a pensare a una cosa: tu vai al lavoro, e devi fare alcune pagine che contengono notizie nazionali e internazionali.
Ti abbeveri alle agenzie, perlopiù all’agenzia nazionale più prestigiosa, l’Ansa.
E trovi cose come Berlusconi che «precisa» (non «dice», «sostiene», «argomenta»: «precisa». Il che significa che ha ragione, per definizione, visto che per poter precisare qualcosa occorre che qualcun altro abbia commesso o pronunciato qualche inesattezza).

O un titolo in cui l’Ansa, senza virgolettare, scrive: «È tempo di esami, Gelmini conferma rigore», come se ciò di cui si sta parlando fosse per forza il «rigore», una cosa col segno positivo, non contestabile, non ideologicamente contrassegnata.

O un altro politico che «spiega» (anche lì: «spiega», perciò ha ragione) che una tale legge «è di buon senso» (il che vuol dire che se tu non sei d’accordo non è che hai semplicemente un’altra idea, ma sei proprio imbecille, perché neanche il buon senso riesci a capire).

Moltiplica questi esempi per migliaia di dispacci Ansa che vedi ogni giorno, sulle materie più varie (cosa che ti fa pensare che il tuo lavoro non è solamente inutile – il che sarebbe tutto sommato un sollievo – ma è proprio stricto sensu dannoso).

Cala questi esempi in una città in cui è proibito mangiare panini per strada. Il cui sindaco lanciò la proposta di far entrare gli stranieri in autobus da una porta riservata.
Calali in una professione – il giornalismo – in cui la propaganda è l’unica cosa che realmente premia.

In cui – e l’esempio è fortunatamente lontano dal mio luogo di lavoro – il direttore di un settimanale riceve notizia e «samples» di foto del presidente del Consiglio che giornalisticamente possono oppure no essere notizia, e decide – invece – di considerare la faccenda dal punto di vista della convenienza politica, ricordandosi che in fondo il presidente del Consiglio è il suo editore.
Così chiama l’avvocato del presidente del Consiglio e trasforma una cosa giornalistica che poteva decidere se pubblicare o no in una freccia para-politica all’arco del suo editore.

E guarda anche all’enormità delle cose che dice – guarda caso, sul Giornale – il nostro ministro dell’Interno (non che io sia una dalemiana, eh): «”È preoccupante il fatto che D’Alema parli di scosse dopo l’arresto di persone che volevano ricostruire le Brigate Rosse. Se si collegano i termini usati dall’ex premier (‘scossa’) e la ripresa dei fenomeni eversivi, il quadro che ne deriva non è tranquillizzante”».

E non è che a sinistra mi sembrino più delicati, o – come dire? – più «belli».
D’Alema che parla di «scosse», per esempio. O tutti quelli che corrono dietro alla destra sul tema della cosiddetta «sicurezza». O i sindaci-sceriffi.

Ora.
Ci son momenti, nella vita, in cui uno riesce a guardare a tutto questo come se fosse un incidente di percorso; e momenti in cui sopportare facendo ricorso all’esercizio della dialettica educata – o anche del silenzio – risulta impossibile.
Poi questi momenti passano, per carità.
Ma intanto gli è che sono acutamente consapevole dell’inutilità di qualunque sforzo. E questo non mi fa stare bene.
Tanto più che io continuo a essere persuasa che la serenità con cui si guarda alle cose è generalmente – sia pure con le ovvie e dovute eccezioni – direttamente proporzionale al livello di privilegio del proprio punto di osservazione.

E per finire.
Forse, per capire meglio, può essere utile – se interessa e avanza tempo – questo pistolotto qua.