una bella telefonata

nutrire_gli_sconosciutiMio padre è morto il 31 gennaio 1984. Aveva 49 anni compiuti otto giorni prima.
Lavorava in banca, e si chiamava Renzo.
Stamattina mi ha telefonato a casa un suo collega.
Mi ha chiesto se ero sua figlia, e appreso che sì, ero io, mi ha detto che ricorda sempre mio padre, che lo stimava molto.
È andato anche a trovarlo – mi ha detto – al cimitero di Arzignano, ma anche se gli avevano spiegato la strada fino alla sua tomba di famiglia non è riuscito a trovarlo ed è dovuto tornare indietro.

Mi ha chiesto di mia madre, che ricorda chiamarsi Rosa.
Per un sentimento che probabilmente a lui dev’essere sembrato pudore, di mio fratello non mi ha chiesto niente.
Mi ha raccontato che lui, ottantaduenne, vive con la moglie e che la figlia abita sotto di loro coi due figli, un maschio diciannovenne che studia ingegneria e una femmina di due anni più giovane che è una campionessa di pattinaggio sul ghiaccio.

Mi ricordo che mio padre parlava di lui, a casa.
Parlava sempre di tutti i colleghi. Ci faceva una testa di questi colleghi.
E Jader. E Arrigo. E Cesare. E Tizio. E Caio. E Adolfo. E Ennio.
In questo ho proprio preso da lui: mio figlio i miei colleghi li conosce tutti, uno per uno, anche quelli che non ha mai visto…

La telefonata del collega di mio padre è stata una cosa bella. Mi ha fatto ricordare che ho vissuto tante vite. E che mio padre era così tenacemente orgoglioso di me da aver scolpito giorno dopo giorno perfino nelle coscienze dei suoi colleghi il concetto che la Federica aveva un valore che non si poteva discutere, no.
È l’eco di tutto questo, ciò che io ho sentito nella frase «ho visto che lei ha fatto una bella carriera, Federica».
Mi ha fatto molta tenerezza confrontare le mie ambizioni con quelle degli uomini della generazione di mio padre.

Quanto a lui, a mio padre, io non so dov’è, ammesso che sia da qualche parte.
Ma se da qualche parte c’è, gli mando un bacio.
Forse, per raggiungerlo dovrei mandare un bacio al mio cuore.
A volte sono sentimentale da far schifo, eh…
(E il bello è che non lo direbbe nessuno)

Ps. Scrivendo questo post e scegliendo la foto – una bellissima foto scattata da Marco a Bray, a sud di Dublino – mi sono dimenticata che avevo messo il caffè sul fuoco. La mia adoratissima vecchia caffettiera col coperchio tenuto insieme dal fil di ferro è da buttare via, credo.
Quanto numerose e quanto gravi sono le conseguenze di un cuore molliccio…