2 o 3 cose che so di loro, ovvero pluralismo un corno

andare_al_di_laPer un motivo assolutamente eccentrico rispetto alla materia primariamente trattata – lo stipendio e le assenze dell’onorevole Luca Barbareschi dal Parlamento – trovo estremamente interessante discutere questo materiale uscito sul Corriere.

La risposta di Gianantonio Stella alla lettera del parlamentare di An è un documento fenomenale dello stato in cui è ridotta l’informazione in questo Paese.
La storia, in brevissimo, è questa: il Fatto attribuisce a Barbareschi la frase «lo stipendio di politico non mi basta» e parla delle sue assenze dalle sedute.

Stella chiede all’ufficio stampa della Camera i dati sulle presenze dell’attore in commissione, l’ufficio stampa del ramo parlamentare retto da Fini gli dice che i dati non ci sono, e poco dopo, zac, lo stesso Barbareschi – racconta Stella – gli telefona per parlargli un po’ della cosa e dirgli questa frase: «Tolte tutte le spese, i collaboratori messi in regola e così via, non è che lo stipendio di parlamentare mi basti».

«Come mai la mia richiesta di informazioni», si domanda Stella, «non solo è rimasta senza risposta (…), ma è magicamente arrivata nel giro di tre minuti alle orecchie dell’attore-deputato? Il presidente Fini trova questo normale?».

Io non so come sono andati i fatti. Però non mi stupirei se fossero effettivamente andati come dice Stella.
Gli esponenti piccoli, medi e grandi delle istituzioni piccole, medie e grandi intervengono praticamente sempre, ormai, quando apprendono che sta per uscire una notizia potenzialmente pericolosa per il loro orto.

Per verificare una notizia, normalmente ci si rivolge ad almeno una fonte diversa da quella da cui i fatti si sono inizialmente appresi. La procedura comporta sempre un certo grado di rischio, soprattutto se la notizia è un’esclusiva, perché la fonte a cui si chiede conferma può avvertire la concorrenza (altri organi di stampa, intendo), bruciando la nostra notizia; oppure può mettere la persona o l’ente coinvolto dalla notizia in condizione di intervenire prima della pubblicazione.
E Stella, in effetti, pare ipotizzare (ma io non so se è così) che il suo interesse per le presenze di Barbareschi sia stato comunicato a Barbareschi dall’ufficio stampa della Camera.

Ce ne sarebbe abbastanza, temo, per domandarsi che razza di corto circuito sia questo.
Eppure, c’è di più: ad avvertire la persona o l’ente su cui sta per uscire una notizia potenzialmente urticante può essere, personalmente o per interposta persona, perfino qualche collega di testata o magari un superiore del giornalista che sta cercando di verificare la notizia di cui si tratta.

Ecco perché mi viene da ridere quando sento esimi e autorevoli colleghi dire che «il pluralismo esiste eccome, ed esiste per il semplice fatto che in edicola si trovano tanti giornali che solo voi dietrologi complottisti vi ostinate a non voler vedere».
Mi viene da ridere per due motivi.

Perché – numero uno – le telefonate di pressione arrivano a tutti i giornali, non importa quanti siano; e ciascuno blocca le notizie che gli conviene bloccare (e fin qui, forse…) a seconda della sua collocazione nella topografia politica o economica.

E perché – due – quando sono i giornalisti stessi (e a volte col placet del loro editore) a considerarsi al soldo degli enti e delle istituzioni e dei sodalizi piccoli, medi e grandi, cosa importa se di giornali in edicola ce ne sono dodici oppure mille?
Se i giornalisti dei giornali diventano uffici stampa di enti, istituzioni e sodalizi, quanto rileva il fatto che le testate sono duemila?

Non esistono – banalizzo – tante «verità» quante testate.
Esistono tante «verità» quanti sono gli «agenti» politici o economici capaci di far pressione sui giornalisti.