una volgarità imperdonabile


Dal Corriere.it:

Il giudice (…) ha autorizzato, per la prima volta in Italia, la diagnosi genetica preimpianto a una coppia fertile portatrice di una grave malattia ereditaria, l’atrofia muscolare spinale di tipo 1 (SMA1). Questa malattia causa la paralisi e atrofia di tutta la muscolatura scheletrica e costituisce la più comune causa genetica di morte dei bambini nel primo anno di vita, con un decesso per asfissia.
(…)
La coppia nel 2003 aveva visto morire una figlia di appena 7 mesi, colpita da atrofia muscolare spinale di tipo 1. «Siamo riusciti ad avere un bambino sano nel 2005 ma siamo stati costretti – ha spiegato la donna, quasi 40 anni, lombarda, con un marito quasi coetaneo e fertile come lei – a tre aborti perché questa malattia è assolutamente incompatibile con la vita. Ho avuto 5 gravidanze, un figlio solo e 4 lutti».
(…)
(Per la sottosegretaria alla salute Eugenia Roccella), «il giudice in sostanza stabilisce che per il diritto alla salute di uno si può sacrificare il diritto alla vita di venti (embrioni, ndr)».
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Con la diagnosi preimpianto e la selezione degli embrioni da impiantare, autorizzate dal giudice, secondo il sottosegretario «si introduce un principio di eugenetica, e si dà un minor valore alla vita dei disabili. Se l’aborto, ad esempio, è consentito solo in caso di rischi psichici o fisici della madre, qui si proclama il non diritto di un disabile a vivere».

Non tenterò di sostenere con argomentazioni logiche di cui mi vergognerei ciò che per via uterina già mi viene da replicare (una cosa di questo tipo: «Quando Eugenia Roccella avrà visto il figlio di sette mesi morire soffocato, forse a quel punto potrà parlare»; che è una frase che io stessa non condivido perché so che non è l’esperienza che dà il diritto di dire quel che si pensa).

Dirò solamente due cose.

La prima è che non tutti sono obbligati a fare la volontà di dio: poiché non tutti crediamo in dio, c’è chi fra noi pensa che la propria volontà abbia un suo senso profondo.

La seconda è più ampia, e riguarda il fatto che Eugenia Roccella parla a vanvera di venti vite sacrificate per fini eugenetici alludendo implicitamente al numero ipotetico di embrioni sui quali andrà effettuata la diagnosi pre-impianto (che poi sarebbe pre-trasferimento, ma non importa).

È inammissibile che un sottosegretario alla salute non sappia che per fare la diagnosi preimpianto un embrione può – ma non necessariamente deve – essere distrutto: altrimenti che diagnosi sarebbe?
PUò ben accadere che un embrione sia malato ma un altro sano. E se per scoprire che quell’embrione è sano lo si dovesse distruggere, che senso mai avrebbe la procedura (ancorché sperimentale) della diagnosi pre-trasferimento?
Ed è ugualmente inammissibile che un sottosegretario alla salute non sappia che solo raramente, nella fecondazione artificale, si dà luogo alla creazione di venti embrioni.

In genere, e se Eugenia Roccella non lo sa sono qui apposta per dirglielo io, il bombardamento ormonale a cui si sottopone una donna consente la maturazione di un numero di follicoli superiore all’unico follicolo che generalmente matura per ogni ciclo senza supporti ormonali.

Ma anche quando i follicoli maturati fossero effettivamente venti, non necessariamente tutti e venti contengono un ovocita fecondabile.
E anche quando tutti e venti i follicoli contenessero un ovocita fecondabile, e dunque gli ovociti fossero venti, non necessariamente tutti e venti riescono ad essere effettivamente fecondati.

E anche quando tutti e venti gli ovociti dovessero risultare fecondati, la loro maturazione potrebbe interrompersi in qualunque momento, impedendo loro di trasformarsi in embrioni.

E anche quando tutti i venti ovociti fecondati si trasformassero in venti embrioni, niente garantisce che quei venti embrioni diventino venti blastocisti.

E anche quando tutti e venti gli embrioni diventassero venti blastocisti, non necessariamente tutte e venti quelle blastocisti si impiantano in un utero femminile.
Può succedere che non se ne impianti nemmeno uno, e per i motivi più vari e insondabili.

Se il sottosegretario non sa queste cose, credo che sia uno scandalo.
Se le sa e finge di non saperle, le sue sono semplicemente le parole di una donna che vuole alimentare i sensi di colpa delle altre donne per motivi suoi, a me inconoscibili.

Nell’uno e nell’altro caso, queste affermazioni sono francamente nauseanti, violente e disgustose. La loro sicumera è volgare e priva di pietà umana.
Sono parole che fanno orrore.
Sono parole oscene.
Sono parole ottuse, che non accolgono la complessità della vita e delle scelte che nella vita vanno fatte.
Sono parole sciocche, perché non considerano la possibilità che al di fuori di se stessi e del proprio orto ci sia altro.
Sono parole che mi fanno ribrezzo perché attraverso le bugie mirano a intimidire chi è privo di informazioni o di mezzi per capire.
Sono parole insultanti.

Infine.
Mi pare molto brutto che il Corriere.it, in fondo al sommario che introduce l’articolo, inviti i lettori a votare.
Per carità: liberi di fare qualunque cosa.
Ma pensare che in materie come queste l’idea di «maggioranza» e «minoranza» abbia un senso significa non aver capito niente.

Sì, lo so: sono rude.
Ma ci sono cose che può decidere solo ed esclusivamente una donna che vive una situazione.
Non un ministro, non un sottosegretario – maschio o femmina – non un marito, non un compagno.
Non uno Stato.
Non un giornale.
Non un sondaggio.