cronaca semiseria di una disperante débâcle

Per le mie letture è un periodo strano.
Veramente è un periodo strano per qualunque cosa abbia a che vedere con me.
Comunque, per limitarmi ai libri, sta succedendo questa cosa strana.
Va bene che – come tutti i pigri dentro – dopo aver letto «Come un romanzo» di Pennac avevo finalmente capito che interrompere la lettura di un libro che non piace è un diritto di qualunque lettore.
Però, insomma…

Qualche mese fa, dopo aver speso un paio d’anni e forse più ad acquistare e leggere quasi esclusivamente libri in inglese, a parte i volumi italiani da considerarsi «capitali», ho deciso di fare una comperata di libri italiani; ultime uscite, o comunque libri recenti.
Un po’ di tutti i tipi: libri di genere, romanzi di formazione, volumetti mainstream, antologie, capolavori annunciati, tomi alti alti, librini esili scritti in corpo 14, sedicenti romanzi.
Apocalittici e integrati, insomma.

Ne ho cominciato uno.
Bello. Che bella frase.
Una bella frase ti fa appassionare a uno scrittore, fa nascere un sentimento.
Ma dopo la bella frase ci sono non frasi brutte – che sarebbe ancora niente – ma frasi insignificanti, gorgheggi sonori.
Niente trama.
Ok.
Chiudo il libro.
Passo a un altro.


Bello.
Bello al tatto.
Buon odore.
Giusto rapporto spessore/dimensioni.
Si parte.
Ah. Bello. Belle descrizioni sociologiche, feroci e taglienti.
Le belle descrizioni sociologiche ti fanno appassionare a un autore, creano sentimento.
Ma dopo le belle descrizioni sociologiche c’è il vuoto.
Trama zero.
E quando a un autore ti appassioni però poi ti delude non c’è da fare che una cosa: chiudere il libro. Ormai non gli vuoi più bene.

Testarda, passo al terzo.
E qui va detta una cosa.
Il tedesco non lo leggo.
Perciò il libro è – sì – in italiano, ma è straniero.
Infatti, arrivo fino in fondo.
Carino.
Succedono cose.

Il quarto è propagandato come un romanzo italiano dall’umorismo travolgente.
Lo apro speranzosa.
Leggo.
Ah, mi dico.
Battute telefonate che capisci da trenta righe prima. Personaggi implausibili. Situazioni incredibili.
Proseguo.
È puntiglio, adesso.
Il libro continua a tentare di farmi ridere ma non ci riesce.
Qualche volta sì, e allora mi viene da affezionarmi all’autore. E quando ti affezioni a un autore nasce un sentimento.
Ma poi non rido più, e l’affetto si trasforma in nervosismo.
Ripenso a Pennac e chiudo il libro.

Quinto libro italiano.
Frasi spaziali.
M’innamoro.
Quando trovi frasi spaziali ti innamori di un autore.
Leggo.
Leggo.
Leggo.
Vado avanti.
Resisti, Fede. Questo è bravo, lo dicono cani porci e cristiani.
E invece, scrive quintali di frasi del cazzo che non vogliono dire niente.
Belle, eh. Bel suono. Ma non voglion dire niente.
E tu ti senti anche scema, perché pensi che se uno ha scritto una cosa tu dovresti riuscire a capirla, e dunque se non la capisci la scema devi per forza essere tu.
D’altra parte mai più una casa editrice avrebbe fatto pubblicare un libro in cui il sessanta per cento delle frasi non si capisce.
La scema sei tu per forza, Fede.
E leggo.
Psicologie assolutamente incredibili, e non c’è traccia del guizzo che avrebbe potuto trasformarle in psicologie surreali, o fantastiche.
Frasi spaziali.
Trama zero.
Lentezza.
Volute.
Ah quanto son fico ah quanto son fico.
Incongruenze.
Frasi spaziali.
In oltre centoventi pagine non succede assolutamente niente.
Penso-a-Pennac-chiudo-ciao-e-anche-un-po’-vaffanculo-perché-mi-avevi-illuso-più-degli-altri.

Sesto libro italiano.
Uau.
Denso.
Bello.
Che bel racconto.
Che finezza di analisi.
Quando trovi la finezza di analisi ti appassioni a un autore. Nasce un sentimento.
E poi, ecco che il piano dell’analisi diventa preponderante.
Oh.
Qui la cosa diventa un saggio.
Oh oh.
Che freddezza.
Pennac-chiudo-ciao-alla-prossima.

Una settimanina fa mi rigiro fra le mani il settimo degli oltre trenta libri italiani che avevo comprato.
Lo guardo.
Mmh.
Prendo l’ottavo.
Mmh.
Il nono.
Mmh.
Lo giro.
Lo annuso.
Lo apro.
Uno dopo l’altro, tutti.
Mmh.

Con un senso di colpa bruciante, guardo da lontano la pila dei libri scritti in inglese.
Il decimo.
Italiano, dico.
Mmh.
L’undicesimo.
Mmh.

Ecco.
Prendo «Notes on a Scandal» di Zoe Heller, di cui avevo già letto «The Believers», un romanzo denso e ricco.
Ok.
Scopro che ne hanno tratto un film, ma tanto non me ne preoccupo, perché con i miei orari il cinema è un ricordo lontano.
Comincio a leggere.
Belle frasi.
Belle parole.
Belle descrizioni.
E fatti, storie, cose.
E mi scopro in attesa che succeda qualcos’altro; consapevole che il meglio deve ancora venire.
Ritmo.
Voce narrante solida e sicura.
Nessun autocompiacimento.
Niente ghirigori.
Lingua asciutta e precisa ma liscia e saporita.

Sto andando avanti.
Mi sembra un bel libro.

Finalmente.