palombelli e sara, o della pornografia populistica

Due parole per la lettera di Barbara Palombelli a Sarah Scazzi di cui si legge qui (nel sottofinale, gradevolissimo fervorino redazionale).

In video, la moglie di Rutelli ha chiesto scusa alla ragazza uccisa forse dallo zio o forse da chissà chi altro, con queste parole

«Cara piccola Sarah, occhi da cerbiatto».


E poi, non so con quale reggenza sintattica perché la fonte – il Corriere – non lo dice, ecco qualche altra parola dedicata alla ragazza:

«Noi che, senza conoscerti, ti abbiamo incontrato nei telegiornali e sui giornali, ti abbiamo mangiata proprio come l’umidità di quel pozzo. Un pezzettino al giorno, piano piano, senza sprecare nemmeno una briciola della tua tragica favola».

A parte un mea culpa che per i toni pare un «culpa tua» (e comunque: dov’era, prima, la Palombelli?), il meglio deve ancora venire:

«Tu, principessa che sei finita sfigurata e putrefatta dopo quaranta giorni in un pozzo, tanto che il professor Strada, che ti ha sezionato e analizzato, ti ha nascosto persino alla tua mamma».

Ecco.
La Palombelli potrebbe forse a questo punto spiegare in cosa consista la differenza fra l’attitudine da lei così sdegnosamente censurata di coloro che – suoi e miei colleghi – hanno «mangiato proprio come l’umidità di quel pozzo» la ragazza «occhi da cerbiatto», e la descrizione che lei fa di un corpo così «sfigurato e putrefatto» che non è stato nemmeno fatto vedere «alla sua mamma».

Magari alla madre, per evitarle l’affronto finale, avranno raccontato qualche cosa di rasserenante che le facesse passar la voglia di baciare la figlia morta.

E invece ecco che arriva lei, la Palombelli.
Ecco che arriva una che, alla madre della ragazzina a cui ha appena finito di chiedere scusa, dice che la figlia era «sfigurata e putrefatta».

In nome del diritto di cronaca, immagino.
O della pietà.
O dell’oggettività.
O del suo cuore di mamma solidale.
Chissà.

«Ora che stai uscendo di scena per lasciare spazio ai tuoi assassini e alla rivelazione del male, in cui hai vissuto forse senza saperlo oppure sì, ora che tutta l’Italia partecipa all’indagine nazionale su di te che non ci sei più, ora è proprio arrivato il momento di pregare, pregare per te e per noi, per il nostro lavoro, per voi che state vedendo queste immagini. Non ti dimenticheremo. Sarah, perdonaci se puoi…».

L’accenno all’opportunità di pregare per Sarah e anche «per il nostro lavoro» a me sembra ai confini della decenza.
Facile, eh, parlare con una morta.
O con dei vivi che non vestono Armani.