mariapia

Mi ricordo che portavi le scarpe basse, le ballerine, e che le compravi sempre nello stesso negozio del centro.
Mi ricordo che quando eri a tavola ti toglievi le ciabatte («Me le tolgo ancora, sai?»).
Mi ricordo le tue gambe lunghe e la tuta azzurra per fare ginnastica.
Mi ricordo che non eri cattiva, aspra, appuntita.
Mi ricordo che avevi i capelli vaporosi e ti facevi il ciuffo.
Mi ricordo casa tua, a sinistra lo studio spoglio di tuo padre, a destra le camere, di nuovo a sinistra la cucina e in fondo il salotto.
Mi ricordo il tuo stereo, il riduttore per i 45 giri.
Mi ricordo che eravamo al secondo banco della fila centrale, tu a sinistra e io a destra.
Mi ricordo che forse tu eri di destra, boh.
Mi ricordo che eri fiera di tua sorella.
Mi ricordo che tuo padre mi faceva soggezione.
Mi ricordo che tua madre ogni tanto faceva i sofficini.


Mi ricordo che avevi una discoteca in montagna, e che non mi avevi mai invitato a venire con te.
Mi ricordo di un tipo che si chiamava Dado, me ne parlavi tu.
Mi ricordo che questa discoteca ti inorgogliva.
Mi ricordo che ridevamo tantissimo, però non mi risulta che gli insegnanti ci abbiano mai fatto note perché chiacchieravamo. Forse non chiacchieravamo poi così tanto.
Mi ricordo che davanti c’era la Monica.
Mi ricordo di uno solo dei tuoi morosetti da scuola media, ma so che ce n’erano stati altri. Stupidi fondamentali inutili morosetti.

Mi ricordo che avevamo confidenza, e non ricordo che nessuna di noi due avesse un’aria di superiorità nei confronti dell’altra; eppure è così frequente, fra compagne delle medie.
Mi ricordo che non eravamo neanche invidiose l’una dell’altra. Oddio. Non è che nei miei confronti si potesse nutrire chissà quale invidia. Forse solo perché andavo bene a scuola, ecco. Ora che ci penso, però, forse ero anche una bella bambina.
Ma questo non me lo ricordo bene.

Mi ricordo che non mi vergognavo di dirti se mi piaceva un compagno, e che non ti vergognavi neanche tu.

Mi ricordo che usavi il lucidalabbra. O quello roll-on che sapeva di fragola, o quello che sapeva di mela verde e stava dentro una scatolina di latta col coperchietto scorrevole. Si comprava all’Upim, mi pare.
Mi ricordo che ti profumavi con Musk Oil. C’è ancora, ma a me sembra che l’odore sia completamente diverso.

Mi ricordo il periodo delle Clarks, c’erano solo a scarponcino di camoscio, all’epoca. Mia madre diceva che erano scarpe di crosta. Aveva ragione, ma andavano di moda.
Mi ricordo che in realtà non eravamo così sensibili alla moda, anche se andavamo in una scuola di un quartiere un po’ snob.

Mi ricordo che non avevamo paura dei professori, e che andare a scuola ci piaceva.

Mi ricordo che ogni tanto tua sorella studiava, era al primo anno di università, e noi la disturbavamo.

Non mi ricordo se andavamo a farci qualche giretto a piedi insieme, magari a comperare qualche piccola cosa.
Non mi ricordo quanta autonomia avevamo, quanta ce ne lasciavano i nostri genitori.
Non mi ricordo se ti parlavo della mia famiglia.
Forse davo l’idea di essere abbastanza spensierata, mi sa.
Però forse eri più spensierata tu.

La tua casa non aveva nessuna pretesa.
Era una bella casa ma non c’era nessun tipo di sfoggio.
Non come la casa della Monica, dove avevano messo mano arredatori e architetti.
La tua era una normale casa borghese di quegli anni: pavimenti a marmette, stanze grandi, corridoi smisuratamente larghi, inutili balconi lunghi.

È stato molto bello rivederti, ieri sera.
Mi rimandavi un’immagine di me che ho ancora voglia di vedere.
Mi hai detto che facevo il giornalino di classe.
L’avevo completamente dimenticato.
Non ho neanche una foto tua.
Incredibile, eh.
È che all’epoca la mia famiglia era così presa dalle sfighe di mio fratello che figurati se qualcuno pensava a fare foto.
Io stessa non ne ho, di mie.
C’è tutto un pezzo della mia vita di cui non ho testimonianza visiva.
Pazienza: mi basta l’enorme peso che, a ripensarci, sento sul cuore.
Un’immagine forse aumenterebbe quel peso come un profumo richiama e potenzia le memorie.

Ma chi era più femminile, fra me e te?
È una domanda scema, non è che io non lo capisca.
Però sono curiosa, vado in cerca di quella tredicenne che sono stata.
Mi ricordo di me solo a partire da momenti successivi; o magari in momenti precedenti.
Di me alle medie non ricordo niente.
Chissà perché c’è questa specie di ce(n)sura.
Le medie sono il luogo dove ho disimparato quel ho imparato alle elementari: è così che io mi ricordo la faccenda.
Ieri mi hai fatto vedere una cosa che avevo scritto a macchina: «Dunque», avevo scritto: «proposizione coordinante conclusiva». Dunque è una congiunzione, però. Quindi, forse, il mio ricordo corrisponde al vero: alle medie avevo disimparato.

È strano rivedersi da donne, sentire fiducia e confidenza.
Usare quel modo di comunicare col corpo che gli anni della vita adulta ci hanno fatto mettere in un cassetto.