fede in the sky/3 (la tv e l’anticonformismo)

Sì. Mi autodenuncio.
Cara Liquida (o caro?), cara My Sky Hd (o caro?): avere My Sky Hd – «che sta di fatto rivoluzionando il modo di fruire il mezzo televisivo», mi è stato spiegato – non ha cambiato poi molto il mio modo di guardare la televisione.
Mi ha fatto – sì – sedere sul divano come tanti e tanti anni fa, telecomando in mano, sperando che qualcosa di quel che veniva trasmesso fosse interessante.
E ai miei ha dato la chance di registrare una trasmissione mentre ne vedevano un’altra.

Ma per me non c’è niente da fare: la tv è come un’enciclopedia.
La consulto, ma non riesco a leggerla.
Riconosco che è un ottimo mezzo per informarsi (soprattutto se si ha accesso ai notiziari stranieri), per distrarsi, per far ricreazione: ma io vivo davanti a uno schermo dalla mattina alla sera; al lavoro e poi, in parte, anche qui a casa. Per scrivere, per riscrivere, per stare in contatto con le persone che non sono fisicamente vicine a me.

Quest’avventura – un periodo di My Sky Hd gratuito (cosa che ha infine causato l’acquisto del televisore) in virtù (lo giuro) della mia «competenza come blogger», della mia «autorevolezza e visibilità»; e tre post per dire come questa cosa ha influito sul mio modo di guardare la tv – però una cosa me l’ha insegnata: che si resta quel che si era da piccoli.

Mi ricordo che mia madre cercava ogni giorno, nella mia infanzia, di farmi stare un po’ davanti alla tv a guardare la tivù dei ragazzi.
Immancabilmente rispondevo di no. Preferivo giocare, scarabocchiare, far finta di chiamarmi Diamante Stevenson, raccogliere vecchie chiavi, farne mazzi e sentirmi la padrona di un misterioso mondo adulto, battere a macchina le mie scemenze in duplice copia con carta carbone.

Non so. La tv è bella, fa vedere cose che nemmeno immagineresti di potere immaginare.
Se quando sono arrivata a New York avevo la sensazione di essere già stata dappertutto, in Times Square e a Brooklyn, sulla Quinta Avenue o sulle Twin Towers, questo è stato certamente per la televisione, che mi aveva portato tutto a casa, consegna a domicilio.

Ma ora c’è qualcosa che della tv non riesco più ad accettare; qualcosa che me ne tiene lontana.
Non è l’urlo, il litigio, il bisticcio.
Non è la povertà di invenzione che sta dietro ad alcuni programmi.
Non la miseria intellettiva, non la brutalità, non la semplificazione, non l’idiozia. Non la spocchia, insomma.
Ci penso e ci ripenso, da quando è arrivato in casa questo decoder.
In fondo, sarei dovuta essere ben felice di vedere com’era cambiata la tv da quando – anni fa – la guardavo abitualmente.
In fondo, sarei dovuta essere contenta di poter guardare la Bbc, e la Cnn. E lo sono, anche, in realtà. Ma sapere che posso guardarli quanto voglio mi basta.

Il fatto è che la televisione è lo scenario principale – ma del loro ci mettono anche i giornali, eh – su cui si rende possibile la costruzione retorica del teorema della «visibilità»; la personaggizzazione; la «prodottizzazione» delle proprie idee.
La pillolizzazione di sé come testimonial di alterità.
La cosa più sconcertante di tutte, a volte, mi sembra proprio questa: che molti «personaggi» lasciano a casa la persona che sono (o magari erano), e vanno in tv a dichiararsi altro dalla tv.
E siccome passano per la tv, le persone a cui fa piacere sentirsi altro dalla tv li considerano i loro profeti, i loro fari.

Sicché finisce che alcuni intellettuali anticonformisti vanno in tv a dichiarare il proprio anticonformismo e un mucchio di spettatori anticonformisti si sentono legittimati a guardare la tv perché è così meravigliosamente anticonformista da ospitare tutti quei testimonial anticonformisti che parlano malissimo del conformismo.

Onestamente non so come se ne possa uscire, anche perché – come già in altri post ho qui notato con sconforto – se non sei visibile semplicemente non sei; socialmente e politicamente non esisti.
E magari, quando uno ha qualcosa da dire, pensa che andarlo a dire in tv non può fargli male.
Forse è vero; forse male non fa.
Ma io mi sento così a disagio, in tutto questo.

In ogni caso, siccome ogni promessa è debito, ri-prometto con solennità che guarderò almeno l’inizio di Avatar, che ho scoperto sarà trasmesso in gennaio. Cioè, ora che ci penso, mioddio, dal mese che comincia fra tipo sei ore!
Poi approfondirò – credo – la mia conoscenza di alcune serie tv.
Infine, farò zapping tra le notizie straniere, lo giuro, e cercherò di sviluppare la mia vergognosamente scarsa cultura cinematografica.
Ma prima di poter tornare a guardare un programma giornalistico, beh, occorrerà che riesca a disintossicarmi da tutto il male che il giornalismo ha fatto, e non solo a me.
Resta sempre il lavoro più bello del mondo, ma che fatica sopportarne la deriva nientista.