ho in mano l’avvocato g.

Ecco.
Ho in mano L’avvocato G.
Non in persona, ma in carne ed ossa.
Carne ed ossa apparentemente di carta, ma – diamine – autentiche.

Quand’era arrivata la copia di Due colonne taglio basso io non ero così emozionata.
Ero frastornata, non sapevo cosa per me potesse mai significare aver pubblicato un libro.
Ero arrabbiata con me, anche: senza avere abbandonato un’identità (quella di giornalista), mi mettevo a giocare con un’altra, quella della «scrittrice»?

Ho voluto tanto bene a Fabrizio Strippani, che a distanza di tempo ho realizzato essere il vero protagonista della mia prima storia pubblicata; ma proprio tanto bene.
Ma non so se, nell’ipotesi in cui egli effettivamente esistesse qui e ora in questa vita, io andrei a bere un caffè con lui con lo stesso entusiasmo con cui seguirei l’avvocato G. dovunque volesse condurmi.

Fabrizio mi ha detto tante cose di me; anche Chiara, anche Bernardo, e perfino il personaggio più laido di quel romanzo mi ha fatto viaggiare all’indentro e camminare all’infuori.
Appartenevano, tutti, a quella fase della mia vita (anche se già verso la fine del romanzo – a vedere adesso le cose in retrospettiva – mi stavo preparando ad altro).

Ma l’avvocato G. appartiene a me adesso.
Mi ha detto delle cose di me adesso.
Mi parla di me.
Per me ha fatto un’altra cosa importante: ha tolto le virgolette all’identità di scrittrice.
Non sono solo questo, e accidenti se lo so.
E non lo sono nemmeno principalmente.
Ma lo sono anche.
Non devo più scegliere.
Che privilegio.

E ora che ci rifletto, vorrei anche capire perché – alla fine – il mio personaggio centrale è ancora una volta un uomo che ha complessi rapporti con le donne.

L’avvocato G. è un librino minuscolo; piccolo e morbido come un magnifico neonato vestito con una tutina di ciniglia rossa.
Ma a differenza di un neonato non crescerà fisicamente.
Si limiterà a fare la propria vita – in questo, sì, come un figlio – tra le mani e sotto gli occhi delle persone che vorranno leggerlo, e – forse – gli vorranno bene.