a trenta centimetri da terra

Me l’ha spedito un’amica che fa il medico.
Mi tocca molto.
Grazie, Lisa.

A pochi giorni dalla festa degli innamorati… in fondo è sempre quando gli altri festeggiano e sorridono, o ti sembra che lo facciano, che tu ti senti più del solito uno schifo.

Di te vedo solo il finale: un antro fatto di macchinari e ingranaggi, dentro un capannone deserto e immenso, immerso in un silenzio surreale. Fuori, nel sole splendente di questo mezzogiorno invernale, capannelli silenziosi si scambiano sguardi increduli. Scovarti è fatica, devo passare tra pile di lastre di metallo, seghe, rulli, poi giro l’angolo, mi mostrano il posto, entro in un cassone che sembra un pannello di controllo, le pareti tappezzate di donne, cinque, dieci, venti che ti guardano vogliose si mostrano per eccitarti, farti sentire uomo.
Poi tu. Sospeso a trenta centimetri da terra, gli occhi ancora semiaperti, il collo reclinato e stretto da una cinghia di plastica, le labbra e il volto cianotici, le mani abbandonate, semiaperte e immobili.

Ma c’è un orologio al polso, che continua, indifferente, a segnare le ore e i minuti, il tempo che continua a scorrere. Perché non sei tu a scandire il tuo tempo ma lui a scandire te. Il tempo in cui nasci e quello in cui cresci, quello che ti porta in carcere e quello che ti fa innamorare, quello in cui invecchi – forse – e quello in cui te ne vai per sempre. È lui che ti trasforma e ti segna nel corpo e nei sentimenti. È lui che continua a scorrere quando tu non sei più.

Ma 42 anni sono ancora troppo pochi, forse il tempo stavolta si è sbagliato.
Che cosa guardi? Di fronte a te un armadietto con un nome: Leo V. Ti frugano nelle tasche e trovano il tesserino della fabbrica, il nome corrisponde. Quante volte ci hai pensato Leo, aprendo il tuo armadietto? Quante? Sarebbe il modo perfetto per farla finita: ci sono i ganci delle carrucole, c’è il filo con appeso il telecomando, basta solo trovare il coraggio di tener premuto il tasto UP per qualche secondo e il gioco è fatto, non ti salva più nessuno, soprattutto se lo fai alla pausa pranzo, quando tutti sono in mensa.
All’anulare della mano destra ci sono due fedi. Sei vedovo, oppure separato ma ancora innamorato? Chissà. Tra il pollice e l’indice della mano sinistra un tatuaggio: quattro punti con un punto al centro. Forse se frughiamo tra le tue cose scopriremo qualcosa. I carabinieri lo fanno in modo professionale: vediamo se c’è il messaggio, dicono, così ci risparmiamo un bel po’ di lavoro. Infatti nella tasca destra della tua tuta trovano il tuo berretto da lavoro: è pieno di disegni di stelle e lune, come quelle dei bambini e c’è scritto “Luna amami, senza di te mi sembra di impazzire… “. Pensieri sulla testa, pensieri dentro la testa. Nel tuo portafogli un bigliettino con disegnata una composizione di frutta, col chiaroscuro tipo carboncino e il tuo nome – è molto bella – e una lettera. E’ Dina, la tua Luna che ti scrive, ieri: “Caro Leo sono una stronza e ti ho fatto tanto male, non sono come te che sei sempre forte, deciso, che sai sempre che cosa è giusto fare, vorrei essere una persona meravigliosa come te…”.

L’infermiere che mi accompagna scruta il viso e dice che sì, gli sembra di averlo già visto, deve essere un tossico o uno psichiatrico, non si ricorda. Tutto bene, insomma, la solita feccia… e io voglio urlare: “Basta, smettila, un po’ di rispetto! Quanta cazzo di paura hai della morte per dover mettere un muro così alto tra quello che sei tu e quello che era lui?”, ma non dico niente.

Esco e non riesco a scollegare la mente dalla doppia immagine tua e di quelle donne nude che ti fanno cornice e il porno non mi è mai sembrato così straziante, falso e disperato come oggi…