i dati, o delle aporie comunicative

Quel che segue è l’estratto da un comunicato di un ente pubblico.
Che i numeri possano essere invocati a certificare la validità di tutto e il contrario di tutto lo sappiamo tutti abbastanza bene.
Ma qui la faccenda è ancora diversa.
Qui succede che i numeri dicono una cosa ma l’istituzione – attraverso virgolettati non attribuiti specificamente a nessuno – dice l’esatto opposto.
Ulteriore curiosità, il fatto che l’esatto opposto non viene argomentato o spiegato o dettagliato in qualche modo, e si pretende discendente dai dati che parrebbero attestare una verità del tutto diversa.

Può essere che si tratti di un errore materiale, eh.
In questo caso mi scuso con l’ente e faccio ammenda.
Ma siamo talmente abituati, noi tutti che facciamo o leggiamo i giornali, ad affermazioni apodittiche e non argomentate che la possibilità che si sia trattato di un errore materiale, di un’inversione dei dati, è l’ultima che viene in mente.

Leggiamo.

In occasione della (…), XYZ traccia un bilancio 2009-2010 delle donne in cura per problemi di alcol e droghe.

Ripeto: «Traccia un bilancio delle donne». Non del numero di donne. No: delle donne. Un bilancio delle donne.

La tendenza è quella di un abbassamento dell’età media in cui iniziano a far uso di sostanze. Nel 2010 le donne (…) in trattamento per problemi di droga sono state 341 su 1.931 pazienti totali, il 17,6%.

Ripeto: 341 su 1.931, uguale 17,6 per cento.

Il dato relativo all’anno precedente parlava di 362 donne su circa 2000 pazienti totali, il 18%.

Ripeto: 362 su circa 2.000, cioè il 18 per cento.
Non sembrano dati in crescita, ma andiamo avanti. Forse le cose vengono spiegate meglio dopo.

Il quadro, a prima vista confortante, emerge invece nella sua drammaticità se si confrontano le età delle pazienti da un anno all’altro.

Oh. Bene. Ci siamo. Il quadro è confortante solo a prima vista. Non sono solo io ad avere notato l’incongruità dei numero con i contenuti dichiarati: l’ha notata, e prima di me, chi ha fatto il comunicato.

Dunque, mi spiegheranno. Il confronto fra le età mi farà capire.

96 quelle con meno di 24 anni che si sono rivolte ai servizi nel 2009 contro le 87 del 2010.

No. Non mi spiegheranno.
Ripeto: nel 2009, 96 ragazze con meno di 24 anni; nel 2010, 87.
Non mi pare che ci sia stato un aumento.
Ma forse mi sbaglio.
Proseguo.

E per le ragazze fino ai 18 anni le cifre parlano di 27 casi nel 2009 (7,3%) e di 17 casi nel 2010 (5%).

Ripeto: 27 ragazze con meno di 18 anni nel 2009; 17 nel 2010.
E se i numeri assoluti non bastano, ci sono anche le percentuali: le minorenni del 2009 erano il 7,3 per cento; le minorenni del 2010 il cinque per cento.
Vado avanti comunque.

«Questo dato è particolarmente significativo poiché sappiamo che il problema del consumo di sostanze tra le giovani, soprattutto le giovanissime, è un trend in crescita».

Cioè.
I dati ci dicono l’esatto contrario, ma noi sappiamo.
Proseguo.
Mi spiegheranno perché noi sappiamo.

«Perciò quel 5% relativo al 2010 sta a testimoniare che non scende il numero delle ragazze con problemi di dipendenza ma scende il numero delle ragazze che decidono di farsi aiutare».

Quel «sappiamo» rimane appeso lì. «Sappiamo», ma non ci viene detto perché «sappiamo».

Ho una sola domanda: ma per quale ragione vengono citati dei numeri, se quei numeri sono nella migliore delle ipotesi completamente insignificanti ai fini della tesi che io intendo asserire?
Perché pretendo di utilizzare i dati quando essi parrebbero addirittura attestare il contrario di ciò che intendo dire?
E perché, se ciò che intendo dire si basa sull’inoppugnabilità della mia personale esperienza, io immagino di corroborarne l’efficacia ricorrendo a dati che sembrano smantellare il mio punto di vista?

Parrebbe quasi il trionfo dei contenuti sulla statistica, no?
E invece, paradossalmente, è il contrario.
Io uso la statistica anche se mi dà torto perché se inserisco dei numeri sembrerà infinitamente più evidente il fatto che io ho ragione, indipendentemente da ciò che i numeri dicono, o possono essere piegati a dire.

Non dico che questo pensiero l’abbia necessariamente fatto chi ha scritto il comunicato, che, come spiegavo sopra, magari è solamente il frutto di una banale inversione di dati relativi agli anni 2009 e 2010.
Dico, però, che chi legge quei numeri è tendenzialmente portato a credere che le affermazioni – virgolettate o no – che sta leggendo sono vere perché validate da numeri.

Io penso che siamo effettivamente arrivati a questo.
Per appoggiare la credibilità su un fondamento di autorevolezza, usiamo le stampelle più varie e tutto è lecito: tanto, controlleranno in pochi.
È l’ennesima dimostrazione che i fatti contano piuttosto poco; conta il messaggio (a volte del tutto ideologico) che mi interessa fare arrivare.

E se il centro della mia comunicazione è ideologico, il fatto che le spiegazioni manchino o siano contraddittorie ha molte probabilità di passare inosservato.

Soprattutto quando la validazione dei contenuti è affidata ai numeri.