occhi che mangiavano il mondo

Le scarpe blu, pensò.
Nere? No: blu.
Il piede ci ballava dentro.
Erano nuove, comprate quando tutti sapevano che di strada a piedi ne avrebbe fatta poca, e tutta in un interno, e tutta con le ciabatte.
D’altra parte, erano stati comprati anche dei maglioni.
Sua moglie voleva prendergli quel cardigan di Missoni. La sorella di lui la fermò: costa troppo – disse – gliene faccio uno bello io.
Faceva schifo, ma nessuno di noi ebbe il coraggio di dirglielo.
Però a sua moglie – nei momenti in cui riesce a ricordare le cose – ancora punge il cuore la facilità con cui cedette al no al maglione di Missoni. Costava tanto, ma era bello e lui lo voleva.

*** *** ***

Magro, altissimo, occhi verdi che mangiavano il mondo.
Mangiarono la madre, un giorno.
Mangiarono la madre mescolata a un signore che lui non conosceva.
Coperte lenzuola capelli una gamba il volto della madre un braccio la faccia dello sconosciuto. Un’altra gamba.
Le aveva lunghissime, lui, le gambe.
Tre gradini alla volta, giù in giardino, ghiaia, cancello che cigola e poi via, e via, e via, senza piangere perché non c’era tempo.

Lei uscì poco dopo, più sorpresa che angosciata. Lo guardò dal gradino più alto delle scale, tenendo una mano fra i ricci rossi e l’altra a stringere in un pugno la vestaglia.
Pensava che avrebbe fatto il giro dell’isolato, o del paese.
Pensava che sarebbe tornato per cena.

Non conta niente quell’uomo, per me, voleva dirgli. Ma tuo padre conta ancora meno.
Lo sconosciuto non si era accorto che gli occhi di Riccardo l’avevano mangiato. Si sentiva intero, e soddisfatto, e fiero: gli ho fregato la donna, a quel vecchio bastardo.

Pastina in brodo.
Risucchio.
Il piatto di Riccardo era pieno e coperto da un altro piatto.
Diventò freddo.
Elena s’era rivestita.
«Dov’è Riccardo?», chiese il marito.
«Lo sai com’è fatto», disse lei.
Lui si alzò, prese uno stuzzicadenti, lo infilò fra i canini.
La guardò. «Vieni a letto?».
«Sì», disse lei.

Riccardo era fuori, al buio, da solo.
Non posso preoccuparmi: se mi agito, Filippo si insospettisce.

Aveva veramente paura che Riccardo potesse essersi perso, essere morto, potesse aver bisogno di lei? O aveva più paura che Filippo la scoprisse?
Trent’anni e poco più, lei.
Oltre cinquanta, Filippo.
Oltre cinquanta portati male.
Oltre cinquanta di un malato arrogante.

Mia madre mi ha venduta a lui per continuare ad averlo intorno anche dopo che lui l’aveva lasciata. Ero fresca, io. Un affare.
E Riccardo?
Riccardo? Che se la sbrighi da solo, Riccardo.

Il tic-tac della sveglia risuonava forte, rimbombando nel cavo del mobile della camera da letto.
Il tic-tac degli orologi è la cosa più triste del mondo; nel silenzio della notte può spezzarti il cuore, scoppiarti dentro le ossa della testa.
Aprì la porta.
Filippo russava.
Un attimo di apnea, poi.
E poi un rumore forte di saliva di ceramica che andava giù.

Si spogliò in fretta, dio non voglia che si svegli.
Entrò a letto.
C’era freddo.
Riccardo era vestito leggero.
Si sopravvive, a 12 anni, da soli nella notte?
Elena se lo ripeté quattro o cinque volte.
Sei, forse.
Poi non ci fu che l’abbandono nel sonno.

Come puoi dormire, puttana?
Poteva pensarlo, ma non lo pensò.

Riccardo aveva freddo. Voleva immaginarla sveglia, in pena per lui. Ma sapeva che non era così.