reggi’senivibra’tori/appa’ratiproba’tori

La rubrica si intitola «La fotografia di Francesco Merlo».
Quella che si trova online adesso, qui, ha il testo che trascrivo qui sotto.
La storia è quella dell’assoluzione in appello di Amanda Knox (e anche, un po’ meno, di Raffaele Sollecito) dall’accusa di avere ucciso Meredith Kercher:

(Click click click click click click click click).

Facce stordite
facce sperdute
facce vincenti
e facce feroci.

Sono le facce del processo.
Guardatele in sequenza
cominciando dalle facce abbandonate.
Sono la madre,
la sorella,
il fratello della vittima.

Nessuno fa caso a loro.
Nessuno riconoscerà queste facce per strada,
perché nessuno fa
mai
caso alla vittima.

Hanno lo stesso destino di tutto quell’armamentario
di reggiseni,
vibratori,
apparati probatori
che vanno a finire in uno
sgabuzzino
del tribunale.

Queste facce finiscono nell’oblio
come quella di Meredith
è finita
nella tomba
.

Poi c’è Amanda
che con le sue lacrime è perfetta.
È la star del processo
qualunque cosa faccia.

Vincente
proprio perché è la bellezza di strada
e a mezzo mondo rimane
il retrogusto,
il dubbio
della colpevolezza.

Protagonista di una drammaturgia classica,
non so…
«Il lutto si addice ad Elettra»,
come
«Il delitto si addice ad Amanda».

È un film di Hitchcock.

Poi c’è Raffaele che si toglie il braccialetto.
Guardate.
È un gesto da sciamano.
Lo dona alla giuria.
È una specie di eucaristia finale:
il dono di sé
che segue la resurrezione.

Poi ci sono le facce che gridano vergogna
e che sono
il peggio
dell’Italia.

Sono le facce che si affacciano
a tutti i banconi delle macellerie,
una specie di smorfia orgiastica
che c’è nel nostro Paese.
Non passione,
ma pulsione.

Riflettete
su tutte queste facce in sequenza.
Non c’è un sorriso.
Ci sono pianti,
ci sono facce feroci,
perché,
come dice Baudelaire,
la malinconia è la cifra della giustizia.

Al riso ed al pianto costretto
Negato al sorriso in eterno.

Quattro pentasillabi in apertura.
Nove sillabe subito dopo, e poi via di versi sciolti.
Due inviti a chi ascolta: «Guardatele in sequenza», all’inizio.
E, alla fine: «Riflettete su tutte queste facce in sequenza».

Citazioni e struggimento alla fine.

In mezzo, indignazione ed esegesi.
«Nessuno riconoscerà mai queste facce per strada, perché nessuno fa mai caso alla vittima», dice.
Ma la vittima non c’è.
La vittima è un ricordo, un esercizio sentimentale.

Gli imputati ci sono; sono una presenza, hanno un’immagine fisica immanente; vivono e rappresentano una torsione del destino che si compie sotto i nostri occhi.
Non possono essere chiamati a rispondere del reato connesso di permanenza in vita.
Ci sono
.
E per chiunque della vittima non abbia avuto esperienza, loro e solo loro sono il tramite fisico al ricordo della vittima.

E quanto al resto: veramente non essere riconosciuti per strada è – come sembra quasi voler suggerire Merlo – il segnale della sconfitta delle proprie ragioni?
Non essere riconosciuti come «star» è l’insulto finale?
Più avanti vedremo che essere «star» ed essere riconosciuti è invece il marchio del «dubbio di colpevolezza».
Come ne usciamo?

Le «facce abbandonate», dice Merlo, «hanno lo stesso destino di tutto quell’armamentario
di reggiseni, vibratori,
apparati probatori».

A parte la notevole rima/assonanza (una «o» è stretta, la seconda «o» è larga) dei due ottonari «reggi’senivibra’tori/appa’ratiproba’tori», io mi domando che relazione esista fra i volti di Arline, Lyle e Kyle Kercher e i vibratori «che andranno a finire in uno sgabuzzino del tribunale».
Queste facce finiscono nell’oblio come quella di Meredith è finita nella tomba», dice Merlo.

A me pare che il paragone persegua uno scopo esclusivamente lirico, alla ricerca di una simmetria che richiami l’assonanza fra gli ottonari.
Meredith è finita nella tomba, sì.
Ma cosa significa che le facce dei tre Kercher finiranno nell’oblio?

Significa che non sono stati loro la «star» del processo?

La «star» è Amanda, dice Merlo.
Chi ne abbia decretato la statura da star sarebbe una domanda interessante, ma per il momento possiamo accantonare la questione delle responsabilità.

Per Merlo, Amanda «è vincente qualunque cosa faccia proprio perché è la bellezza di strada».
Ecco.
Perché una bellezza di strada è vincente?
Cosa significa «bellezza di strada»? È un modo per dire che la sua moralità lascia a desiderare, o è un’alternativa lirica alla definizione di «ragazza della porta accanto»?

Ma se Amanda è «bellezza di strada» nel senso della «ragazza della porta accanto», come può essere che «a mezzo mondo rimane il retrogusto» (il retrogusto), «il dubbio della colpevolezza»?
«La ragazza della porta accanto» non lascia dubbi.
Non lascia vibratori che finiscono in uno sgabuzzino del tribunale insieme alle «facce abbandonate».

E se i vibratori li lascia, invece, beh, allora non è più «la ragazza della porta accanto».

In effetti è l’Elettra dei tre tragici ma anche di O’Neill, o – per chi non ha frequentato il classico, e poi lettere antiche – un film di Hitchcock.

E comunque Raffaele – poche righe, perché lui non è la star – è un Cristo sciamano che parla di eucaristia e resurrezione.

E noi, su tutto questo, dovremmo riflettere.
Non ci bastasse Merlo, abbiamo anche Baudelaire.
O Hitchcock.
Mica Marzullo.