un quadro di bacon, e la vita, e il tempo

Quelle facce io le conoscevo, ma erano tutte svuotate dal tempo. Fiacche, rugose.
Qualcuno aveva strappato da un quadro di Bacon lacerti di carne dai quarti di bue e me li stava lanciando addosso.

Erano giovani, quando li avevo conosciuti.
Stamattina erano facce senza nome. Avevano un posto giù, giù, e poi ancora più giù nella mia anima, ma niente nomi.

Valerio aveva 51 anni.
Valerio era in sedia a rotelle.
Valerio non parlava.
Valerio non camminava.
Valerio non mangiava da solo.
Valerio era un infinito insieme di “non”.

L’altra mattina ha smesso di respirare.

Me lo ricordo bambino, e mi ricordo bambina sua sorella. Giocavamo insieme.
Eravamo a cena a casa loro la sera del terremoto del Friuli, il 6 maggio 1976.
La vita sociale della mia famiglia si svolgeva in salotti dove di fianco ai divani c’erano sedie a rotelle, e al collo dei ragazzi c’erano bavaglini rigidi di plastica, e in cucina troneggiavano frullatori, in bagno c’erano pacchi di pannoloni.

Il prete, stamattina, ripeteva la sua lezione da prete: Valerio ci ha insegnato che ogni vita ha un valore.
Sì, altroché.
Ma non per tutti allo stesso modo, signor prete: la vita di Valerio era preziosa per la madre, il padre e la sorella perché nel colore della sua vita s’era mescolato il colore della loro vita.
Ed era importante anche per me, perché Valerio era uno delle decine di ragazzini curvi, con le facce strane, le mani rattrappite, i corpi lisci e appuntiti, che hanno popolato la mia infanzia.

E oggi pensavo: cazzo com’è difficile abituarsi a capire – quando sei sorella, fratello; e figuriamoci quando sei madre, o padre – che quello è il mondo tuo, è la tua normalità, e non ne potrai uscire mai più, mai più, per sempre.

E’ il tuo immaginario emotivo perpetuo.
Vedi il raggio di una ruota e non pensi a una bici: pensi a una sedia a rotelle.
Vedi un bambino strabico e non pensi che abbia un problema di vista.

Certo, per la miseria; certo che ogni vita è importante.
Ma per chi, signor prete che non sai niente di quanto piccolo implode il cuore di un bambino quando capisce che suo fratello non si alzerà mai in piedi?
Dov’eri, signor prete che oggi parlavi ispirato, con le “e” strette che ti hanno insegnato al seminario.
Dov’eri, signor prete che fai finta d’esser padre ma hai mani che non hanno carezzato il dolore di un figlio?

Una donna bionda. Sì, la conosco, e non so chi è.
E la mamma di Valerio, che a occhi asciutti mi abbraccia e dice “Che dolore, che dolore, che dolore”.
E tutti quei corpi curvi di madri e di padri che hanno sperato e hanno perso.
Ricrescite smisurate, più lunghe della tinta.

“I figli sono il tempo”, dice una battuta del brutto sequel di Wall Street.
Valerio era il tempo.
Io sono il tempo.
Tu, signor prete, sei il tempo.

Io non credo che mi tingerò mai i capelli.
Me li terrò come sono.
O magari cambio idea. La scelta non è urgente.

Dopo il funerale mi son presa un cappello e una sciarpa.
Non so neanche se mi piacciono.