la fatica di sognare, l’obbligo sociale del cinismo

Poche volte nella mia vita mi sono sentita così umiliata come in una conversazione che ho avuto di recente. Il tono del mio interlocutore era formalmente assai gentile, sicché se io avessi voluto eccepire qualcosa non avrei potuto (questa cosa fa male di per sé), ma l’incedere era incalzante e inquisitorio; a una domanda ne seguiva immediatamente un’altra che si accavallava con la precedente, prima ancora che potessi avere organizzato i miei pensieri per la risposta nella quale immaginavo di essere chiamata a esprimere qualcosa che mi apparteneva, qualcosa che mi facesse entrare in relazione con la persona con cui parlavo.

A ripensarci ora che metto in fila queste parole, direi che forse “umiliazione” non è la parola giusta.
Non si è mai pronti ad accettare la condiscendenza altrui, questo è vero.
Ma per quanto vero questo sia, resta che la vera realtà, il dato di fatto, di quella conversazione non era la sopraffazione – che pure ho percepito, nel modo in cui le cose vengono percepite a pelle; l’unico autentico, forse; o magari è fuorviante, non so – ma l’impossibilità di trovare un codice comunicativo condiviso.

Ci sono persone che hanno un mondo molto strutturato, e faticano ad accettare l’idea che a volte in un edificio si può entrare non solo dalle porte o perfino dalle finestre, ma anche dalle porosità dei muri, per esempio, o in volo dal camino, come Babbo Natale o come un moscerino.
La struttura è una cosa buona, ma a volte diventa una corazza con la quale ci si slancia e si cozza addosso agli altri.
Si fa male a coloro che vengono colpiti, sì, anche se si dicono parole di miele.
Forse, quando si è vestiti con una corazza, invece di usarla per fare del male si potrebbe accettare l’idea che ce ne stiamo servendo per difenderci.
Questo, forse, permetterebbe ancora vicinanza, empatia, calore. Incontrando gli altri si potrebbe tenere in conto la propria fragilità, più che tentare di perforare la fragilità altrui.

Non fa niente, comunque: io continuerò a sognare.