i down, la premier league dell’handicap

Ho visto il video di questo monsignor Qualcosa che parla di un indemoniato paragonandolo a una persona con la sindrome di Down; poco più avanti, a un «bambino psicolabile» o «disabile».

Non starò nemmeno qui a dire quanto orrore mi fa un uomo che qualifica – perfino inconsapevolmente, e dal suo scranno! – l’infinita diversità degli esseri umani come opera del demonio.
Dallo spiraglio delle sue parole intravvedo universi di bassezza e squallore coi quali non ho nessuna voglia di mischiarmi.

Quello su cui ho qualcosa da dire è la reazione di un gruppo di genitori Down, e ciò che della vicenda scrive un giornale.

I genitori scrivono a Repubblica per «esigere le scuse» del prete.
Ho una domanda: cosa risolveranno mai, questi 52 genitori, con le scuse?
E di cosa si dovrebbe scusare, questo prete? Di avere «offeso» la rispettabilità dei Down?
O magari – cosa che a me sembra più esatta – di aver parlato da imbecille?

Ma se il problema è che questo prete ha parlato da imbecille, non c’è un solo motivo per il quale debbano considerarsi risentiti solo i genitori dei ragazzi Down che scrivono a Repubblica.
Intanto ci sarebbero anche quelli dei «bambini psicolabili» o «disabili» (ché, tanto, per questo prete, è tutto la stessa cosa: è normale solo lui, si vede); e poi ci sarebbero anche tutti gli altri, quelli che di sentir parlare gente in modo imbecille hanno le palle piene.

I nostri figli, pur avendo questa condizione genetica che comporta dei ritardi cognitivi, non sono simili a degli indemoniati. Sono ragazzi che riescono a raggiungere dei grandi risultati se sostenuti al meglio. Non è possibile definirli come persone che non capiscono.

Cioè, genitori carissimi: fatemi capire.
Se il prete avesse detto che gli indemoniati sono – che so – simili agli handicappati che, come mio fratello, hanno avuto per esempio un’emorragia cerebrale in incubatrice, a voi sarebbe andata bene, perché quelli come mio fratello non «riescono a raggiungere dei grandi risultati» neanche «se sostenuti al meglio» mentre invece i vostri geniacci Down grazie alle vostre infaticabili attenzioni possono diventare dei premi Nobel?

«Non è possibile definirli persone che non capiscono», scrivete.
E quelli che – almeno apparentemente – non capiscono?
Quelli sì che si possono paragonare agli indemoniati?
Questo va bene, indignatissimi signori genitori di premi Nobel con gli occhi a mandorla?

E se per caso un ragazzo Down non capisce? Che fate? Lo esiliate dalla vostra comunità di Down di serie A e lo lasciate alle paterne cure del prete?

Stupore non inferiore – e ricordi tristissimi di ridicole, patetiche, rivoltanti graduatorie fra handicappati di cui conservo memoria fin da quando ero una bambina – mi suscita la frase con cui si conclude il pezzo di Repubblica.

La sindrome di Down è causata da un’anomalia dei cromosomi non sessuali. Il nome deriva da John Langdon Down che ha scoperto e descritto la malattia nel 1866.
Per le persone che ne soffrono comporta situazioni diverse di rallentamento dello sviluppo, specie linguistico e psicomotorio.
Tuttavia, questo non pregiudica la possibilità del soggetto di integrarsi e vivere insieme agli altri.

A parte la ridicola gergalità medica – «soggetto» e non persona – vorrei dire all’estensore di queste perle che l’essere Down, e in genere handicappato, pregiudica eccome la possibilità di una persona di «integrarsi» (cosa mai vorrà dire, per dio?) e «vivere insieme agli altri», e per la semplice ragione che questo fottuto mondo è fatto solo per chi, in tutti i sensi, sa reggersi sulle proprie gambe.

Tutto questo mi fa venire in mente una delle tante battute fulminanti di mia madre.
Mia madre si trovava un giorno con mio fratello alle macchinette delle bibite dell’istituto dove lui sta.
D’un tratto, si palesa una donna anziana come lei insieme al figlio Down.

Le due donne si salutano.
Mia madre chiede: «Suo figlio vive nello stesso “reparto”» [sì: usano termini sanitari, e chissà perché] «in cui vive il mio?».
L’altra, un po’ irrigidita: «No, signora. Suo figlio vive dove ci sono i ragazzi gravi e gravissimi. il mio non è grave».
«Ah», dice mia madre. «Ma suo figlio fa una vita autonoma?».
«Beh, no», dice l’altra. «Da solo non fa niente».

«Ma legge, scrive, vede gli amici?», chiede mia madre.
«No», risponde l’altra. «Questo no».

«E un giorno farà la sua vita? Si sposerà, magari?».
«Beh, non credo proprio», dice l’altra donna.

«E se lei vuole fare una chiacchiera con lui, non so… Farci un discorso… Lui la segue? Parla? Risponde a tono?».
«Oddio, no», risponde la donna.

«E allora», conclude mia madre, «per come la vedo io, l’unica differenza fra mio figlio e il suo è che suo figlio ha una madre scema».

Ps: Vergognati, vile.