light to dark

Sto leggendo un bellissimo memoir che si intitola Family Romance ed è di John Lanchester, un giornalista e scrittore delizioso che ho conosciuto a Listowel (e mi ha fatto anche una dedica gentile).

Da ragazza, la madre di John – che era irlandese – era stata novizia.
Poi, però, era uscita dal convento.
Finché vestiva l’abito, la famiglia le riconosceva il rispetto che si deve a chi ha conseguito uno status; dopo, le riservava l’indifferenza che meritano gli oggetti invisibili e senza sentimenti.
Per un po’, lei ha accettato la situazione perché per un ovvio deficit traumatico di immaginazione non era in grado di pensarsi fuori dal buio.
Ma un giorno dentro di lei le cose sono cambiate in modo radicale.
Solo che gli altri hanno continuato a far finta di niente, in senso letterale: lei non c’era e di lei non si parlava, ma quand’anche si fosse ri-materializzata nessuno le avrebbe fatto alcuna domanda.

Di lei non si occupavano. Semplicemente.
Era un rimosso; era la prova del loro fallimento nel tentativo di controllare il mondo, e dunque la si doveva considerare un elemento inanimato, perché se solo le si riconosceva un’anima tutto andava in crisi.

Ecco.
Direi che se c’è una cosa che mi colpisce più delle altre è la scoperta dell’incalcolabile ammontare di viltà che un cuore di bipede può contenere.
E una delle faccende più curiose è che le persone vili non si limitano a non avere il coraggio di fare le cose giuste, o a cercare di camminare rasente i muri, negli interstizi fra le mattonelle, o – come gli scarafaggi – negli anfratti sotto i water di certi cessi.

No.
Le persone vili ti chiedono l’assoluzione.
Prima ti infilzano il cuore con la spada della loro viltà, e poi – magari – ti spiegano che non avevano scelta, che devi capirli, e che sono dispiaciuti per te.

Vergognati, vile.