the midnight choir

Ho finito di leggerlo da poco, ma ce l’ho ancora sul comodino. D’altra parte, sul mio comodino c’è un casino di roba. The Midnight Choir (2006) è il secondo romanzo “fictional” del giornalista dublinese Gene Kerrigan, premiato anche come miglior giornalista irlandese di non mi ricordo più quale anno (e un giorno magari qualcuno mi spiega come fanno in Irlanda ad avere un solo concorso di questo tipo, e come fanno a mettersi d’accordo sui parametri che fanno grande un giornalista. Ma questa è un’altra storia, e ha reso quest’inciso francamente troppo lungo per essere sopportabile).
Beh. Il retro di copertina dice che si tratta della storia di Dixie Peyton, una tipa borderline che a volte ha fatto da informatrice per i Gardai (cioè la polizia irlandese) e nel libro lotta per mantenere la custodia del bambino che ha avuto dal criminalotto di belle speranze del quale è rimasta vedova.
Ma a dispetto di tutto questo – e anche a dispetto del fatto che secondo me questo libro è veramente tutto tranne che la storia di Dixie – non stiamo leggendo un libro di quelli che ti spingono a tagliarti le vene per la tristezza che ti insufflano nel cuore.


L’intreccio – che si svolge tra una Dublino già dubbiosa sulle meraviglie della Celtic tiger e una Galway appena accennata sullo sfondo – si gioca fra le vicende di Dixie, appunto (splendido il personaggio dell’amica di Dixie) e dell’integerrimo poliziotto Harry Sinnott (che ha un passato di “traditore” dei colleghi violenti, ma a fin di bene), transitando attraverso camei di finissimo cesello e personaggi secondari incisi con grazia e precisione: i superiori di Harry, la collega appassionata di stime edilizie (se così si può dire), il collega che ridipinge casa perché è prossimo alla pensione, il giovane poliziotto di Galway, il malavitoso ciccione che perde chili e si dà al fitness.
Nessuno è una macchietta.

Nessuno è un “tipo”.
E – sublimemente – nessuno è ciò che sembra essere.


Il libro di Kerrigan – che ha scritto anche storie vere di criminalità irlandese, ed evidentemente conosce molto bene ciò di cui parla – ha la straordinaria caratteristica di essere un inno all’ambiguità del mondo, della vita, delle persone, dei ruoli, dei luoghi, delle cose. Tutti sono animati da una loro visione etica che ha un suo perché logico e una sua coerenza interna che sa perfino di inevitabilità; tutti hanno un che di comprensibile, se non di giustificabile; tutti agiscono in apparente – e in molti casi drammaticamente sostanziale – buona fede. Eppure, ciascuno dei personaggi principali finisce per scoprirsi – quasi sorprendendosene egli stesso prima ancora che lo possa fare il lettore – completamente diverso da come aveva fatto credere (anche a se stesso) di essere.


The Midnight Choir è proprio un grande libro sull’ambiguità, che sposta le coordinate di riferimento dei personaggi così lentamente e credibilmente che quasi non ci si accorge dei colpi di scena. Il che sembra un peccato solo a chi pensa che le crime novels – perché questo è: una crime novel – debbano sorprendere a ogni pagina.
Bello.
Bella lettura proprio.
Ben scritto, moderno, europeo. Irlandese ma – come posso dire? – anche molto italiano, e per niente oleografico.


Ah. Per adesso si trova solo in inglese.

Per sentire una recensione carinissima in inglese (sul sito c’è anche la trascrizione), http://www.mickhalpin.com/audio/midnightchoir.mp3