tibet, censura e verità

Il Tibet è stato chiuso ai giornalisti (per il loro bene, ovvio: «Per la sicurezza dei giornalisti e per la sicurezza della popolazione locale», dice il ministero degli Esteri di Pechino), ma tredici esemplari della categoria saranno tuttavia ammessi a un viaggio organizzato.

I giornalisti di tutto il mondo protestano, e Free Tibet Campaign organizza una petizione «perché i giornalisti possano andare in Tibet a raccontare la verità oscurata dalla Cina».

Tutto ‘sto casino perché ci si ritiene censurati. Peccato, perché i giornalisti sono insuperabili nel censurarsi da soli e (giustamente) bravissimi a incazzarsi come le iene quando li censura qualcun altro.

Magari, a copiare qualche comunicato stampa in meno si sarebbe più credibili. La cosa assurda è che riusciamo a parlare di «verità» senza neanche vergognarci. Come se non stessimo in realtà, collettivamente, tutti (e quasi per statuto professionale, ormai) partecipando alla grande operazione di costruzione di una realtà alternativa, che indipendentemente da ogni suo ipotetico legame con la verità maiuscola di cui ci piace parlare, è in effetti solo la realtà che noi imbrattacarte abbiamo il permesso di creare e rendere visibile…

(Non tutti, naturalmente, abbiamo le stesse responsabilità: questo mi è chiaro).