l’irlanda, il bisturi e la polizia

Avviso: questo post è piuttosto lungo.

Poco più di quattro milioni di persone; circa 54 abitanti per chilometro quadrato (In Italia sono poco meno di duecento); pianure, prati, scogliere, fiumi e laghi; poche grandi città; niente mafia, o ‘ndrangheta, o sacra corona unita. È l’Irlanda.

Il Sunday Independent ha commissionato un sondaggio alla Millward Brown IMS ed è emerso ciò a cui l’edizione domenicale del quotidiano irlandese dedica un grande titolo in prima pagina («Crisi sociale: una nazione si guarda allo specchio»).

Secondo i due terzi degli intervistati, lo Stato non è in grado di ottenere risultati nella lotta al crimine organizzato, e solo il quattro per cento è di opinione contraria; circa il quaranta per cento dei cittadini interpellati dalla Millward dice che non si sente sicuro camminando per le strade dopo il tramonto, e più di metà si considera in pericolo se deve passare a piedi attraverso un gruppetto di ragazzi fermi da qualche parte a non fare niente.

In Italia la questione delle gang giovanili non è ancora considerata un’emergenza; ma penso che sia una questione di tempo: basta saper aspettare che qualcuno si renda conto di quanto grande sia il potenziale di mobilitazione emotiva ed elettorale che quest’argomento solleva in favore del partito o dell’uomo politico – di questi tempi non è che tra le due cose ci sia tutta questa differenza – che decide di utilizzarlo.
Ma non fa niente: al di là delle gang giovanili, quello che mi fa impressione non è nemmeno la consistenza numerica degli irlandesi spaventati, sebbene sia difficile dimenticare che – come avverte il giornale – il loro spavento cozza contro l’evidenza dei dati sull’effettiva entità dei reati, così com’è rilevata dalle statistiche.

Mi fanno impressione, in realtà, altri due paragrafi dell’articolo: «Ciò che dicono i numeri non ha alcuna importanza, né cambia quel che la gente pensa della propria sicurezza. L’inversione di tendenza potrà cominciare ad avvenire solo quando ci sarà l’evidenza tangibile del fatto che il governo è determinato a proteggere la vita dei suoi cittadini, e questa evidenza può derivare soltanto dalla presenza visibile di molti più agenti sulle strade. Parlare di numeri e di obiettivi è irrilevante. La prova non arriverà dalle statistiche, ma dal fatto che gli occhi dei cittadini vedranno effettivamente gli agenti in ogni città e in ogni paese fin dalle prime ore di ogni giorno del fine settimana».

È questo che mi fa un’enorme impressione. Il tipo di rassicurazione che viene richiesta – anche in Irlanda, con i suoi quattro milioni di abitanti – non ha niente a che vedere con la politica, o con le strategie di governo di un territorio, o con l’effettività del diritto alla sicurezza (su cui pure avrei qualcosa da dire).

È una questione tutta emotiva.
Le persone non riescono a percepire la paura come un loro personale problema, e – posto che vivere comporta necessariamente l’accettazione di qualche rischio contro il quale occorre individualmente approntare misure di prima e minima difesa – non sono in grado di organizzare autonome forme di difesa dalla propria paura.

Così, invece di pensare di far qualcosa per se stessi, decidono che della loro paura si deve fare carico lo Stato. Anche perché qualcuno riesce a far credere loro che sì, la sicurezza è un diritto (e non, al più, una legittima aspirazione di cui nessuna strategia potrà mai garantire il raggiungimento definitivo e perenne); e che, sì, blindare porte e frontiere, balconi e terrazze, cuori e cervelli, case e palazzi, basta a tenere fuori il male. Il che peraltro adombra la tacita certezza che il «dentro» sia bene e il «fuori» sia male.

Se un partito promettesse di dare in carico al Servizio sanitario nazionale le spese sostenute dalle vip e dai vip per gli interventi di chirurgia estetica di ringiovanimento di volto e corpo, migliaia di saggi e moralisti direbbero che è una follia destinare a questo scopo gli introiti delle tasse pagate da tutti i cittadini.

Eppure, visto che neanche l’evidenza del fatto che i crimini non aumentano basta a tranquillizzarci, bisognerà pure che qualcuno dica che disseminare nuovi agenti qua e là per città e villaggi è inutile esattamente quanto un intervento di chirurgia estetica, che in effetti non può fare nulla contro la verità dell’età anagrafica.
Bisognerà pure che qualcuno dica che spendere soldi per dare a quaranta persone su cento una maggiore sensazione di sicurezza è uno spreco di proporzioni cosmiche, perché le altre sessanta persone si son gestite la paura per i fatti loro.

A dispetto delle apparenze, è proprio la stessa cosa che accade nel caso della chirurgia plastica: non tutti pensano di ricorrere al bisturi per dare una risposta al proprio terrore di invecchiare e di morire; e la maggioranza, pur ugualmente terrorizzata, gestisce la sua paura in proprio.

Sono convinta che militarizzare il territorio risponde allo stesso movente emotivo che spinge una persona a farsi lifting e botulino: ricevere una rassicurazione contro l’inevitabile rischio di vivere, allontanare il terrore.

Solo che non capisco perché una cosa si trasformi in discorso politico e l’altra no.