l’osceno mantra del decoro

L’ho sentito ieri sera al telegiornale di non ricordo quale canale. Ne parlava un tale che mi pare avesse una qualche forma di investitura rappresentativa (era forse il responsabile dei commercianti?). Diceva più o meno, sentito con queste orecchie: «È vergognoso che davanti alla basilica ci sia gente che fa accattonaggio».

Come se nel chiedere l’elemosina perché non si ha abbastanza denaro per vivere ci fosse una componente di indegnità che è legittimo censurare ed estromettere sul presupposto di una specie di inaccettabilità estetica che si fa tutt’uno con l’asserita immoralità della questua.

La notizia è quella che c’è su tutti i giornali di oggi, e cioè che ad Assisi un’ordinanza sindacale proibisce l’accattonaggio e il bivacco davanti alle chiese.

A me sembra che queste scelte siano enormemente violente.
In nome dell’osceno mantra di questi anni, cioè del «decoro», espellono «tecnicamente» ogni possibile diversità e ricoprono di panni apparentemente accettabili contenuti di profonda tracotante brutalità. «Per salvaguardare i luoghi di culto e la decenza», viene detto.

Come se al culto non bastasse più lo spazio di una chiesa; come se il culto dovesse allargarsi e allargarsi e allargarsi, fino alle scale, fino ai sagrati, fino alle piazze, alle città, alle intere province.

Come se si dovesse tracciare una linea fra i turisti – le persone! – che hanno il diritto di esserci e quelli che no: quelli sotto un certo reddito e quelli smanicati no (benché pure in bermuda portino denaro anche all’industria del turismo religioso); e quelli ben vestiti e compostissimi sì.

La buona educazione è diventata un argomento politico; i sindaci e gli assessori non fanno che volercela insegnare a suon di ordinanze e di divieti.

Io penso che se il rutto (la legittimazione del rutto, intendo, come contenuto politico) è entrato nel discorso pubblico, non possiamo sorprenderci se via via, incoraggiati dal richiamo, ci entreranno anche i peti.