i cervelli pigri e la retorica del «fannullismo»

Per avere un’idea di quanto sono cambiati i tempi.

Nel 2004, appena quattro anni fa, Repubblica.it poteva titolare «Benvenuta pigrizia, ecco l’arte di lavorare meno in ufficio».
È la recensione del primo libro di Corinne Maier (il sito è in francese), che su quest’intuizione – poi variamente declinata, e recentemente indirizzata all’asserita dimostrazione che le ragioni per non riprodursi sono molto più numerose dei motivi per cui vale la pena procreare – ha rivoluzionato anche la sua stessa vita.

L’articolo parla di cose come il «disimpegno attivo per combattere l’iniquità», o per contrastare «l’immobilità professionale delle grandi corporation moderne “che somigliano per rigidità gerarchica e stagnazione del lavoro alla corte di Luigi XIV, cioè a luoghi così ritualizzati e complicati che fanno apparire a chi vi è impiegato che produce ma di fatto non fa assolutamente niente”».

Dice che «carriera non ne fai perché i criteri di promozione e avanzamento nelle aziende, specie se sei un medio-livello, non sono meritocratici, ma chissà. Il dubbio posto non apre loschi scenari, ma semplicemente la vertigine del “non senso” e dell’iniquità dei riconoscimenti professionali».
E parla anche della (tanto attualmente lodata) cultura aziendale come della «cristallizzazione della stupidità di un gruppo di persone in un dato momento».

Già così dovrebbe essere abbastanza chiaro, ma per reperire ulteriori prove di quanto tutto sia cambiato si può dare un’occhiata qui, sotto il titolo «Padova, licenziato “fannullone” Dormiva sul tavolo dell’ufficio», oppure qui.

Capisco che tra il fare il meno possibile con qualche furbizia, come suggerisce la Maier, e addormentarsi al lavoro c’è differenza, sì.
Ma il tono del pezzo del 2004 non lascia dubbi su quanto i tempi siano cambiati.

E resta il fatto che il tema – sociologico-esistenziale prima ancora che politico – della possibile autodifesa dal disastro organizzativo dei nostri posti di lavoro, che può riverberarsi pesantemente sulla qualità della vita di ciascuno e sul senso del lavoro di chiunque, beh, quel tema sembra morto per sempre, sostituito da parole d’ordine che non si pongono più il problema di ascoltare le ragioni di tutti, ma solo di propagandare, urlando, le ragioni dell’ìdeologia che ha vinto.

In realtà, il «fannullismo» ha stravinto: specificamente, ha stravinto il «fannullismo» squadrista di tutti coloro (tanti) che si risparmiano l’usura delle loro cellule cerebrali affaticate interpretando la realtà come un ring dove gareggiano in due, uno buono e uno cattivo.
E i buoni, naturalmente, sono sempre loro.