le (piccole) donne secondo famiglia cristiana

Questa è una piccola parte dell’editoriale che il prossimo numero di Famiglia cristiana dedicherà all’aborto.

«Oggi non è più sufficiente proporre una migliore applicazione senza toccare nulla dal punto di vista legislativo. Tutti ormai, se si escludono frange femministe fuori dalla storia, Pannella e la solita rumorosa pattuglia radicale (sempre più esigua), hanno abbandonato la vecchia formula che l’aborto è “questione di coscienza”, affare privato che non attiene alla sfera del bene comune».

Per Famiglia cristiana, invece, «l’aborto è un fatto di rilevanza pubblica e politica», e «oggi in Parlamento ci sono i numeri per sgretolare il mito della 194».

Frange femministe, scrivono con disprezzo.
Fuori dalla storia, dicono.
Non è un affare privato, ma un fatto di rilevanza pubblica, dicono.
Il mito della 194, dicono.

Noi donne siamo sempre affare pubblico, vero?
Su di noi, sulla nostra maternità, può sempre decidere qualcun altro, vero?

La cosa più sconvolgente è che non si vergognano.

Dicono che le donne possono essere aiutate a non abortire, come se le donne – se solo fossero meno superficiali e mal indirizzate – potessero essere aiutate a scegliere diversamente in relazione a qualcosa su cui evidentemente da sole non hanno riflettuto abbastanza.

Dicono che dandole qualche soldo – o anche tanti soldi: concettualmente non c’è differenza – una donna può decidere di non abortire più.
Se abortisci per soldi, insomma, ti dò qualcosa io.
E se abortisci per altri motivi, insomma, ti convinco io a considerare altre cose, quelle a cui tu da sola non sei stata in grado di pensare.

Come se la maternità fosse una cosa che ha a che fare col denaro o con motivazioni che si può accettare di divulgare, di spiegare, di argomentare, di discutere, dibattere, analizzare, scandagliare con gli estranei, meglio – peraltro – se sono estranei cattolici.

E non si vergognano.
Non si vergognano di offendere così le donne, di violare la loro sfera più personale (che, tanto, è pubblica, no?).
Una donna che resta incinta smette istantaneamente e per ciò stesso di poter decidere per se stessa.
Più di lei conta l’ipotesi di vita che porta nell’utero.
Lei è incidentale, è pubblica, è politica, è una portatrice di feto, un pubblico ufficiale che nella pancia tiene un figlio dello Stato.
Da quel momento, lei – lei, proprio lei, singolarmente lei, in barba alla sua privatezza, alla sua storia, ai suoi perché – attiene alla sfera del bene comune.

Completamente incapaci di rispetto. E non si vergognano.