la prossima volta mi porto il bazooka

Torno testè dalla visita oculistica, e dunque – per colpa delle gocce che dilatano quella cosa nera che c’è al centro dell’occhio (non mi viene la parola, si vede che le gocce hanno effetto anche su quella cosa grigia che c’è dentro la testa) – non vedo una mazza.

Bene. Nella sala d’aspetto c’erano quattro persone anziane, due uomini e due donne, ciascuno – com’è ovvio – con la propria idea di decoro. Tutti diversi, ma uguali nel dichiararsi attraverso l’espediente estetico appartenenti al mondo di quelli che si sentono a posto, che stanno nel posto giusto e credono fermamente di avere ragione.
Non so, avete presente quegli sguardi che non sembrano essere mai stati sfiorati dal dubbio, o dal timore di poter essere capitati nel posto sbagliato. Quelle persone che non si domandano mai «qual è il mio posto nel mondo?» perché sono certe di averlo trovato fin dalla nascita (per via della fecondità dello sradicamento…).

Una delle due donne era in giornata tranchant (o forse è proprio così sempre, di suo), e ne aveva per tutti.
Per i ragazzi che non si alzano in piedi, a scuola, quando entrano gli insegnanti.
Per i giovani che non studiano e pretendono di essere promossi.
Per quelli che non capiscono che la meritocrazia funzionava perfino (perfino) nell’Unione sovietica.
Per quelli che non rispettano gli adulti.
Per quelli che non capiscono l’importanza di «un minimo di ordine» («un minimo», a giudicare dal calore che promanava dai suoi occhi, poteva voler dire anche la legge marziale).
«Ed è cominciato tutto col sessantotto, sì» (più minuscola di così, l’iniziale della parola Sessantotto non poteva essere)

Uno dei due uomini si è sentito sufficientemente spalleggiato, e ha ricordato i bei tempi quando, a scuola, ogni mattina ti facevano recitare l’Ave Maria.
È stato allora che non ci ho più visto. E dovevano ancora mettermi le gocce gialle per dilatare quella cosa che adesso mi è venuto in mente che si chiama pupilla. Forse.
«Era una scuola statale?», ho chiesto.
«Sì», ha detto lui mentre gli altri sei occhi opacizzati dalla vita e dall’età si giravano verso di me, come vedendomi allora per la prima volta.
«E allora cosa c’entrava l’Ave Maria?», ho detto.
«Beh», ha detto il signore, francamente stupito che qualcuno potesse avere l’ardire di sostenere ad alta voce e pubblicamente una tesi tanto minoritaria. «Male di sicuro non faceva».
«Dipende», ho detto. «Se i genitori vogliono mandare i figli a una scuola religiosa, che se la paghino, no? Ma se una scuola è pubblica, forse dell’Ave Maria si può fare a meno…».
Silenzio.

La tipa della legge marziale (con tailleurino blu profilato di bianco, del tipo che col mitra fa uno splendido pendant) prende fiato: «Ma ha visto» (sì, si è rivolta a me) «quella signora che c’era lì prima? Aveva la gomma da masticare. Beh, non so come la pensi lei» (e naturalmente, se io l’avessi pensata diversamente sarebbe stato veramente un peccato) «per me quella lì è maleducazione».

Mi son permessa di chiederle «e allora?», perché se avessi taciuto avrei corso il rischio di scoppiare, e spargere brandelli di interiorità sanguinolenta in una sala d’aspetto dell’oculista è una cosa piuttosto maleducata, soprattutto se poi macchi i tailleurini degli altri.
«Ma insomma», dice lei. «Ha visto quel bambino che c’era qui e camminava scalzo? Con tutti i microbi che ci sono?».

Lo diceva per lui, la generalessa.
Lo diceva perché le interessa la sanità dei piccoli piedini di quel bambino così ma-le-du-ca-to. Magari, chissà, quel bambino avrebbe potuto accarezzarle la faccia coi piedini e allora lei si poteva infettare di tutti quei microbi, povera cara.
Ca*** ca*** ca***.
Mi tasto le tasche – che non ho – per vedere se ho il bazooka. Non c’è. E non c’è neanche in borsa; mi sa che l’ho dimenticato a casa.

Ma ca*** suoi ne ha, questa gente?
Preoccupazioni proprie a cui dedicarsi, pensieri da seguire, amori da coltivare, progetti (anche a breve termine, non serve pensare in chilometri) da immaginare, piaceri da pregustare, gioie da organizzare…
C’è qualcosa di peggiore, al mondo, che avere a che fare con gli ottusi adoratori delle regole? Con gente che adora sbatterti in faccia la sua regolarità (sociale, estetica, morale, esistenziale, penale, sessuale e qualunquealtracosale) e vomitarti addosso il suo disprezzo moralista per la tua irregolarità?

Una voce. «Signora Sgaggio? Venga. Il dottore l’aspetta».
Fiiiiuuu.
L’avete scampata bella, vegliardi insolenti!