stavolta voglio dire grazie

Mi sento in dovere di ringraziare Sergio Frigo, collega del «Gazzettino», per avere inserito la recensione di «Due colonne taglio basso» nella mezza paginata di Cultura e spettacoli che sul giornale di oggi si occupa – guarda un po’ – del giornalismo nei suoi rapporti con il cinema, con il giallo, e anche con l’universo «deregolato» del lavoro, che spesso precipita addosso alle persone con la forza distruttiva del mobbing e del ricatto.

Conosco Sergio da anni, da quando – precaria come sono stata per oltre sette anni – lavoravo al «Gazzettino» anch’io, come redattrice domenicale della redazione sportiva e come sostituta estiva nelle varie redazioni della testata; ma la cosa che mi piace di più di questa cosa è che il pezzo che Anna Renda ha scritto sul mio romanzo è nato senza che io abbia fatto alcunché per propiziarlo. Il che mi conferma che la serendipità ha un suo profondo perché.

Il servizio del «Gazzettino» mette insieme un pezzo principale in cui – sotto il titolo «Redazione, labirinto di intrighi» – si inquadra l’argomento citando alcuni dei più illustri esempi di macedonia giornalistico-letteraria, dall’eccelso «Tutti gli uomini del presidente» a Stieg Larsson; un pezzo in cui Giuseppe Pietrobelli scrive del mobbing giornalistico (ma non solo) raccontato da Luigi Furini nel suo «Volevo solo lavorare»; e la recensione a «Due colonne taglio basso». Nella quale («Un omicidio dietro la scrivania») Anna Renda, tra l’altro, scrive anche questo: «Chiunque abbia anche solo un po’ bazzicato nelle redazioni sa che è così. E che i giornalisti, tra fisime personali e lamentele per il lavoro, sono questi descritti dalla Sgaggio».

Credo che se anche Anna – che non conosco – avesse scritto che il libro non era poi questa gran cosa (in realtà ha scritto che «la storia è raccontata bene, con linguaggio fresco, essenziale, costruito su dialoghi sciolti che rendono vivi i personaggi. Periodi e capitoli brevi, di facile lettura»), potrei baciarla in fronte comunque, anche solo per aver detto che «i giornalisti sono questi descritti dalla Sgaggio».

Mi sembra bello che la storia che ho scritto sia stata messa in relazione all’universo del giornalismo reale, oltre che a quello della finzione cinematografica o letteraria.

Nel senso di grazie, insomma.