in morte del giornalismo

Questa è una storiella che racconto perché – purtroppo – mi ha fatto pensare al ruolo e al senso del giornalismo.

bacchettate dal ministro

Il ministro delle Finanze irlandese Brian Lenihan ha telefonato personalmente al direttore generale della Rte, la radiotelevisione pubblica, per protestare contro il conduttore di un programma radiofonico che giovedì aveva provocato – sostiene Lenihan – un’ondata di panico senza precedenti fra i cittadini.

Pare che gli irlandesi siano andati in massa a ritirare dalle banche i loro risparmi per timore dell’insolvenza che immaginavano originata dalla crisi dei sub-prime.

la fiducia nelle banche

Il conduttore di Liveline – riporta il Sunday Independent – «ha concesso agli ascoltatori libera licenza di esprimere la loro scarsa fiducia nel sistema bancario». Ma quella sfiducia – dicono fonti di Rte facendo autocritica – era basata non su dati di fatto, ma su sensazioni personali.

la seduzione del materasso

Questi ascoltatori raccontavano di essere andati a riprendere i loro soldi in banca, in qualche caso anche pronunciando il nome della banca.
Qualcuno diceva che i soldi preferiva portarli in giro con sé (a proposito dell’emergenza sicurezza); altri che li avrebbero messi sotto il materasso.

le domande

Joe Duffy – il conduttore – «ha domandato a una donna come si sentiva a portare per la strada 70 mila euro, e a un uomo che impressione gli faceva tenere con sé i suoi risparmi mentre andava sull’autobus».

le parole di joe

Il giornale dice anche che Duffy «ha tentato di mettersi a fare l’editorialista» («to editorialise»), «offrendo la sua opinione sul sistema bancario (“Penso che la gente non creda alla sua stabilità”)» e «dicendo che se il governo mai avesse aumentato il fondo di garanzia dei depositi – cosa che in effetti ha fatto ieri – questa sarebbe stata da considerarsi come una misura contro il panico».

ha esagerato?

Sono piuttosto perplessa sul fatto che il povero Duffy abbia effettivamente esagerato, così come l’accusano di aver fatto perfino i colleghi di Rte (ma si sa che i colleghi sono sempre prontissimi a mettere il senno su di te, il giorno dopo…).
È vero che lasciar parlare a ruota libera gli ascoltatori non è sempre un’operazione meritoria; però è difficile ritenere che Duffy dovesse tacere una notizia, ovvero che molte persone stavano andando a ritirare i loro risparmi in banca.
Né d’altra parte ha senso credere che Duffy o chiunque altro potesse far passare sotto silenzio il fatto che la crisi dei mutui è preoccupante, e che anche l’intervento pubblico del governo americano non sarà privo di conseguenze.

il problema dell’autenticità

Ma quel che mi impressiona è questo: se poche parole pronunciate per radio possono venire ritenute responsabili di fenomenali alterazioni sui mercati o nell’economia (e perciò pesantemente criticate dal potere), come posso io credere all’autenticità di quel che leggo o sento?

e quando il ministro tace?

Mi spiego meglio: tutte le volte in cui un ministro non telefona per protestare, deve per forza voler dire che quello che viene detto in radio o in tv non altera i mercati, oppure magari li altera in un modo che ai ministri non dispiace, e magari in qualche caso era pure stato precedentemente negoziato?

lasciamoli giocare

In altri termini: è legittima o no la supposizione per converso che i giornalisti vengano lasciati parlare finché non danno troppo fastidio, finché gli effetti delle loro parole sono insignificanti, neutralizzabili oppure graditi ai ministri (e genericamente al potere)?
Questa domanda mi tormenta da un po’.

gli spazi di manovra

I giornalisti sono inseriti in un punto x della catena alimentare del potere, mi viene da pensare, e dunque tutto ciò che possono fare è cibarsi – metaforicamente, è ovvio – di qualcuno che sta sotto di loro, utilizzando lo spazio di manovra (cioè l’apparente libertà) che ha deciso di lasciare colui che nella catena alimentare sta sopra di loro.

la cooptazione

Che è poi un altro modo per dire un’altra cosa che mi tormenta: e cioè che il massimo approdo della carriera giornalistica è la cooptazione nell’empireo. Cioè esattamente il contrario del senso apparente del giornalismo.

Vorrei che non fosse così, e spero di sbagliarmi. Ma penso di no.