massima libertà al maestro berlusconiano

Mi hanno raccontato di un docente delle elementari che stamattina ha detto in classe che lui non ha voluto scioperare perché non condivide «certe forme di protesta».

Nel merito, vorrei chiedere a questo docente quali altre forme di protesta ritiene abbiano un senso per un lavoratore. Lasciando correre la mia immaginazione, io visualizzo una scena in cui l’insegnante chiede «scusi, governo: posso dirle una cosa?», il governo risponde «no», e lui allora dice «vabbè, in fondo s’è fatto tardi: è meglio che vada a lavorare».

Nel metodo: tutti pronti a imbufalirsi – questi figuri – quando un maestro dovesse dire in classe che condivide le ragioni di uno sciopero, o quando un genitore porta il figlio a una manifestazione; ma tutti zitti – gli stessi figuri – quando un insegnante prende posizione in classe a loro favore, mettendo i bambini in condizione di acquisire – perlomeno temporaneamente, perché le strade attraverso le quali si forma una convinzione sono ben più accidentate di un banale indottrinamento, e risentono di molte più influenze vitali – il suo punto di vista senza alcuna possibilità di revisione critica, per sproporzione delle forze.

Tra l’altro, quanto alla ipotetica strumentalizzazione dei genitori, io avrei da dire che la vicenda mi sembra più vicina a una questione di dialettica domestica.
Nel senso che mi sembra infinitamente più normale – fatte salve le dialettiche esplosive dell’adolescenza – che a influenzare le opinioni di un bambino o di una bambina sia una madre, oppure un padre, piuttosto che un insegnante.