laghi, femmine e prese irlandesi

Sono uscita a cena, e poi a bere qualcosa al Cafè en Seine – quando torno a casa inserisco una foto di questo fantastico locale – con le due ragazze tedesche, l’una di Colonia, l’altra di Lipsia.
Abbiamo più o meno la stessa età: ragione sufficiente ad ammettere che parlare di “ragazze” è effettivamente improprio.
Per cena siamo andate all’Irish Film Institute, un posto molto carino in cui un cortile interno racchiuso fra case di mattoni scuri è stato ricoperto di un tetto di vetro diventando un ristorante accanto alle sale cinematografiche (questa, tra l’altro, è la settimana del cinema italiano).

Tutto è cominciato quando ho detto a una di loro “mi sembri un po’ triste”.
Lei ha guardato nel piatto, ha raccolto la forchetta, le si sono inumiditi un pochino pochino gli occhi e ha cominciato a parlare.
“Il problema è che non so cosa fare della mia vita”, ha detto. “Non so se è più importante il lavoro, la mia realizzazione personale, se il lavoro e la realizzazione personale siano la stessa cosa, se mi interessa di più avere un figlio, o se voglio finalmente rallentare questi ritmi che mi fanno diventare matta”.

… che davanti a un piatto di pollo (era pollo?) bisogna dire che è un signor argomento.

E’ finita che ci siamo raccontate un bel po’ di vita.
Di figli desiderati e non avuti, avuti senza averli desiderati e avuti e desiderati; di fidanzati in fuga, o silenziosi, o spaventati dalla paternità, o semplicemente scappati perché non potevano accettare di aver avuto un figlio; di mariti sfiduciati, paurosi, distratti, delicati o molto amati; di malattie vinte; di speranze banali; di sogni di lentezza, di sole e di caldo; di dolori; di aspettative, intenzioni, insoddisfazioni e gioie.
E prima di lunedì non sapevamo neanche dell’esistenza le une delle altre.

Ci siamo domandate: ma se qui a questo tavolo invece che tre donne della nostra età ci fossero tre uomini, di cosa starebbero parlando?
Di calcio, abbiamo detto.
O di donne; o di rugby; o di computer.
Non so.
Magari non è così.
Però le due tipe tedesche sono, ciascuna nel suo, due boss delle aziende in cui lavorano. Eppure, nessuna di noi tre ha tenuto il ruolo.
Chissà.

Sento che sono troppo stanca per dire qualcosa di sensato.
Il video del computer continua a cambiare luminosità (ho bevuto un cocktail analcolico, lo giuro, perché sono astemia!). Dev’essere collegato in qualche nodo al fatto che le prese di questa casa, poco fa, si erano messe improvvisamente a non funzionare. Tutte insieme.
La padrona di casa era al telefono, e io che dovevo caricare due telefonini e un computer non sapevo come fare.

Quando la sua telefonata è finita, gliel’ho detto.
E lei ha fatto quella un po’ incazzosella.
“Sì”, ha detto. “A volte con gli studenti ho qualche problema, sì. Loro mettono dentro delle cose strane nelle prese. hai messo delle cose strane?”.
A volte la differenza di lingua è esattamente quel che ci vuole.
Altrimenti avrebbe capito cosa le ho detto.

Buonanotte.
La gola brucia.
La voce si sta abbassando.
Oggi ho imparato la differenza fra “loch” in scozzese e “lough” in irish. Sono laghi tutti e due, ma il primo è un lago qualunque (tipo quello di Lochness, appunto; un lago normale col suo mostro normale); il secondo è un lago di acqua salata nato dal fatto che l’acqua del mare è a poco a poco penetrata all’interno della costa.

Quando il prof di conversazione (Rob: tipo una giovane rockstar. Irlandese, però. E diversissimo da Bono) me l’ha detto la prima cosa che ho pensato è stata “ah, però: questa sì che è un’informazione utile”.
La seconda è stata che mi venivano in mente i sardi di “Mai dire gol”, cioè Aldo, Giovanni e Giacomo.
“Come dite voi lago di acqua salata nato dal fatto che l’acqua del mare è a poco a poco penetrata all’interno della costa? Noi diciamo lough”.

Ok.
Basta così.