incipit vita nova

viva_le_veline
Leggete qui.
Questa parte d’Italia è sempre all’avanguardia, non c’è dubbio.
E la cosa che mi fa più impressione – perché non riguarda solo gli operai, ma anche altre categorie di lavoratori, perfino di rango tecnicamente (anche se non per forza effettivamente) intellettuale – è che tutto questo può succedere solo ed esclusivamente perché i lavoratori hanno interiorizzato che il conflitto è male, che il padrone ha ragione per definizione perché fissa le condizioni, e che non si può negoziare.

Di fronte a una resa di proporzioni così enormi – nei giornali non ci sono extracomunitari, per ora, ma l’idea che prevale è sempre quella di «se io salvo il mio culo e magari nei rimescolamenti di carte che nascono dalle ristrutturazioni riesco anche a guadagnare un po’ di potere servile, che bisogno c’è di negoziare con l’azienda a vantaggio di tutti?» – mi aspetto che qualunque cosa dica uno come Brunetta o uno come Sacconi troverà Uil e Cisl pronti a reggere lo strascico, e i cosiddetti intellettuali di questo Paese pronti a eiettare qualche ardita provocazione intellettuale su «quanti privilegi siano da dimenticare, ora».

Tutto questo a fronte di uno che quando va Damiani a portargli i campionari compra cento collanine, cento bracciali e cento farfalline per le sue protette, perché – come dice Ghedini il suo avvocato – «parliamoci chiaro: seimila euro per lui non sono mica come seimila euro per i comuni mortali».

Mi aspetto cose tremende.
Tanto, siamo in grado di accettare tutto.
Perfino che Brunetta tagli i salari a chi è ma-la-to.
Malato, dico.
Non alle Maldive.
Malato.
Perché il salario in malattia è un privilegio.

Gli dispiace, lui dice, che chi ha avuto la febbre sia dovuto andare lo stesso al lavoro per paura di perdere lo stipendio. Gli dispiace, ma è giusto così.
Giusto così?
E noi zitti?
Noi contenti di prendere la febbre dal collega?