deliri d’impotenza

Sostenere che il mio è un lavoro inutile – così come ho fatto nel post precedente – potrebbe indurre a credere che l’unica strada praticabile sia la rassegnazione.
Io non lo credo affatto.
Sono certa che il risultato elettorale certifichi l’esistenza di un campo, vasto quanto si vuole, nel quale altro non posso fare che prendere atto della mia sostanziale impotenza; ma sono altrettanto certa che il mio compito di donna, cittadina, madre, moglie E giornalista sia individuare l’ambito nel quale mi è consentito l’esercizio di un potere.
Non parlo del potere politico; parlo di «potere» come concetto contrario a quello di «impotenza».
Intendo dire che il mio compito è capire dove io ho il potere di cambiare le cose.
Non importa quanto piccolo quell’ambito possa essere: esso va focalizzato (per la sua individuazione sono a buon punto; posso contare su un lungo lavoro fatto su di me e sulla mia realtà) e plasmato.

Continuare a ritenerci sconfitti e impotenti è una negazione della realtà: e non perché abbiamo vinto, ma perché ci impedisce di percepire il «possibile» che ci si apre davanti.
Se l’alternativa è sempre e soltanto fra sì e no, dimentichiamo i «forse», che son proprio quelle cose – i «forse», dico – su cui si edifica un progetto.
Se l’alternativa è fra l’impotenza e l’onnipotenza, dimentichiamo la potenza, nel duplice senso di «ciò che può essere» e di «caratteristica di ciò che può o di chi può modificare la realtà».