la deontologia non basta più

A me la lettera della Busi (qui il testo) piace molto.
Non mi interessa se questo significa che un giorno si candiderà con qualche lista d’opposizione, perché se anche lo facesse quella scelta sarebbe la prova provata del fatto che un giornalista, oggi, per fare il suo lavoro è costretto a schierarsi.
La costrizione a schierarsi è intollerabile, fa male al cuore; ma onestamente non c’è alternativa, perché se non lo fai finisci come i docenti universitari del fascismo, che di fronte alle leggi razziali non dissero niente.
C’è chi riesce a guardarsi allo specchio lo stesso, perché è abituato a vedere la faccia di una persona immorale (e verosimilmente incapace) e chi invece non regge la propria vista se non fa come quei dodici che rifiutarono di aderire al manifesto della razza.

Rifiutare di sottoscrivere il manifesto della razza, oggi, richiede di necessità una presa di posizione.
Tenere la schiena diritta non è più possibile semplicemente invocando ragioni deontologiche, purtroppo.
Bisogna entrare nel merito.

E la Busi lo fa, domandandosi per esempio

dove sono le donne e gli uomini che hanno perso il lavoro? Un milione di persone, dietro alle quali ci sono le loro famiglie. Dove sono i giovani, per la prima volta con un futuro peggiore dei padri? E i quarantenni ancora precari, a 800 euro al mese, che non possono comprare neanche un divano, figuriamoci mettere al mondo un figlio?

La lettera mi sembra seria. Non cerca l’applauso.
È l’ammissione di una sconfitta storica e professionale, e insieme la rivendicazione sommessa e fiera della propria alterità.