la legittimazione omeopatica della dittatura

Mentre già pregusto uno stacco dublinese (per il Dublin Writers Festival, per l’ennesimo corsettino per sciacquare i panni nel Liffey, e per una due giorni con Catherine Dunne), mi va di sottolineare una cosetta italiana.
Questa:

Non è che mi stupisca, in sé, la citazione di Mussolini. L’uomo mi par capace di far di peggio.
Quel che mi sembra un segnale esiziale di novità è l’imprevedibile accostamento dell’aggettivo «grande» al sostantivo «dittatore»; l’ennesimo scivolamento del senso delle nostre parole.

Nel generale slittamento dei significati, prima di questo bipede eversore nessuno aveva ancora mai osato implicare con noncuranza che un’identità così fortemente contrassegnata da un’aura negativa come quella del dittatore potesse essere ribaltata da un aggettivo così inequivocamente positivo come «grande».

Qui non c’è una rivalutazione storico-critica del periodo fascista in senso revisionista: qui c’è, semplicemente, la stessa pigra protervia con la quale costui sostenne in tv che la sinistra – incredibile, eh? – pretende di utilizzare la tassazione per redistribuire il reddito (come se la tassazione potesse avere un altro senso qualunque) e dare uguali opportunità al figlio dell’imprenditore e al figlio dell’operaio.

Nemmeno allora se ne accorse nessuno.
All’epoca fece scalpore l’annuncio del taglio dell’Ici, ma quel che in realtà accadde quella sera in tv fu che il primo discorso radicalmente antiegualitarista affondò nel rumore desensibilizzante delle vacuità insignificanti e costruì la base perché chiunque potesse con orgoglio finalmente dichiararsi classista e antiegualitario per il solo fatto che qualcuno dalla tv l’aveva autorizzato.

Ora è accaduta la stessa cosa.
L’attenzione generale è assorbita dal riferimento a Mussolini, e mi sembra che sfugga l’enormità del tragico crollo dell’ennesimo significato storicamente attestato e socialmente condiviso.
È toccato alla Resistenza, al 25 aprile, alla bandiera, alla Costituzione, al Parlamento…
Adesso tocca alla «liberalizzazione» linguistica della categoria politica della tirannide.

Fino ad oggi, mi pare che in certi ambiti si sia al massimo discusso se Mussolini fosse oppure no un «grande statista».
Mi è chiaro che già la denominazione di «statista» promuove un’indiretta rivalutazione della figura storica attraverso la categoria della neutralità (statista è, a rigore, colui che si occupa dello Stato; né buono né cattivo, benché generalmente considerato di grande capacità prospettica); ma è come se quella rivalutazione fosse stata tentata «nonostante» il suo essere un dittatore.

Ora è diverso.
Lui era un «grande dittatore».
(Come dire che Berlusconi è un altissimo nano, ma non c’è comunque niente da ridere).

Quel che è successo oggi è la legittimazione omeopatica del concetto di dittatura.
Inserire un cameo retorico di questo genere in un discorso di per sé destabilizzante ottiene perfettamente l’obiettivo della desensibilizzazione della nostra percettività.
Ci mettiamo a parlare del fatto che i gerarchi son più potenti di lui; critichiamo il concetto che ci pare principale e dimentichiamo che egli non si è solamente lamentato per l’asserita esiguità dei suoi poteri che tanto colpisce – pare – il Pd, ma ha anche indicato la via d’uscita da questo problema: una «grande dittatura».

Non mi sembra rilevante l’argomento che il senso letterale delle parole sembra diverso (e cioè un possibile «anche Mussolini grande dittatore si lamentava di avere poco potere, dunque nemmeno la grande dittatura conferisce grande potere»); perché, anzi, anche procedendo sulla linea dell’interpretazione rasoterra quel che otteniamo è che a lui, a Silvio Berlusconi, occorre perfino qualcosa di più grande di una grande dittatura.

Ci siamo spostati in avanti, insomma, perché ciò di cui si discute è già la gradazione della dittatura (grande, più grande, grandissima, eccelsa), e non più la dittatura in sé.

Noi sembriamo essere fieri di noi stessi perché non ci siamo fatti infinocchiare e abbiamo afferrato il vero senso delle affermazioni di quell’uomo, e invece abbiamo colto solo ciò che egli ha voluto venderci nascosto nello stesso pacchetto, anestetizzando la nostra reattività.