buon compleanno, giovanni

Undici anni fa a quest’ora mancavano pochi minuti al momento in cui mio figlio – per l’immaginazione che me ne sono sempre fatta, naturalmente non scientifica – grattò con le unghiette dei piedi e «ruppe le acque».

La sensazione di serena inevitabilità che ho provato in quel momento non l’ho riprovata mai più. Mai più, intendo, accoppiata con un sentimento di sincronia con l’universo e con una totale e incondizionata fiducia nel futuro.

Andando all’ospedale, mentre Marco strombazzava per farsi largo, pensavo che di lì a poco avrei conosciuto mio figlio e la città mi sembrava trasfigurata e illuminata da questa mia consapevolezza.

L’ultima immagine prima dell’anestesia generale – era podalico, e il cesareo era stato qualificato d’urgenza – è stata un prato verdissimo e fresco. Il vento muoveva i fili d’erba e li faceva diventare lucidi.
«Siamo nelle vostre mani», ho detto ai medici in sala parto.

E quando mi sono svegliata avevo un figlio, e Marco era diventato un padre.