c’è morto e morto

La notizia non è che ci sia stata una vittima di camorra (tanto, direbbero qui dalle mie parti, là s’ammazzano in continuazione, e finché s’ammazzano fra loro va tutto bene…).

La notizia è che la vittima di camorra era parente di una donna la cui storia è stata raccontata da Saviano in «Gomorra».

Il fatto che di quella famiglia si fosse parlato in un libro che ha venduto milioni di copie ed è stato tradotto in molte lingue diventa condizione necessaria a che la notizia venga in primo luogo riferita per tale (come notizia, intendo), e in secondo luogo per tale percepita dal lettore.

Capisco che la circostanza che la zia sia stata involontario personaggio del libro di Saviano rappresenti un elemento della notizia, ma non sono sicura che ne rappresenti l’elemento principale, quello senza il quale la notizia non ha un titolo poiché in fondo non è nemmeno notizia.

Quand’ero piccola, mio nonno aveva dei meravigliosi cani da caccia – un fantastico setter irlandese, dio quanto mi piaceva, e un setter gordon; ha sempre avuto cani, lui, fino a quand’è morto – e li portava a correre in montagna tutte le volte che poteva.

Per loro preparava i cibi con estrema attenzione; li curava con dedizione totale. Uno di loro l’ha perfino operato quando gli si conficcò una scheggia (diede anche i punti), e di un altro ingessò una zampa fratturata, recuperandone in pieno la funzionalità.

Nel frigo di casa, uno dei ripiani era stato tolto per fare spazio ai contenitori nei quali mio nonno teneva gli alimenti per i cani, sicché le dimensioni del frigorifero ne risultavano di molto ridotte.
Questa cosa mia nonna non la poteva sopportare, e bofonchiava bonariamente quasi ogni giorno.

Me la ricordo benissimo mentre – mescolando qualcosa sui fornelli o aprendo il forno per controllare i peperoni ripieni o la parmigiana di melanzane – guardava i figli con un’aria rassegnata e diceva: «E cché vvulìt fa’. Chìll, pur’ ‘e can ten(e)n a’ sciòrt».
Cioè: «E che ci volete fare: anche i cani soggiacciono alle regole della fortuna e della sfortuna» («sciòrt» è il destino, la «sorte»).

Tutto questo lungo ricordo per dire che non solo i cani ten(e)n a sciòrt.
Anche i morti.
E mi scuso per il cinismo.