per favore, aiutatemi a capire

Lavoro in un quotidiano e vengo pagata quanto prevede il contratto nazionale di lavoro giornalistico; comunque meno dei miei colleghi assunti prima di me, perché il costo del lavoro giornalistico è andato via via diminuendo.

precaria

Prima di lavorare qui ho lavorato in tantissimi giornali: nella maggior parte dei casi ci ho lavorato con contratti a termine anche brevissimi, ma in alcune situazioni avevo qualche responsabilità.
Per lavorare ho fatto in macchina 350 mila chilometri in sette anni; durante quei sette anni di vita precaria e raminga – giornali a Belluno, Parma, Forlì, Trento, Rovereto, Vicenza… – ho avuto un figlio, che per lavorare ho lasciato a casa con mia madre e (quando non era al lavoro, anche lui fuori città) a mio marito.

di corsa

Facevo avanti e indietro in macchina con la pioggia e la nebbia, in estate e in inverno, e senza alcuna garanzia di assunzione.
Il preavviso con cui mi chiamavano era di uno o due giorni; la decisione se accettare o meno andava presa in pochi minuti, indipendentemente dalla distanza del luogo in cui mi proponevano di lavorare.

fiducia

Ma avevo il fisico, forse.
E credevo nel lavoro che facevo.
E credevo in me stessa.
E avevo fiducia.
E pensavo che ci fosse un senso.

qui

Quando mi è stato proposto un contratto a termine nella mia città, ero caporedattrice di un piccolo quotidiano romagnolo, e mi sono licenziata da un contratto a tempo indeterminato.
Ho scelto di stare più vicina a mio figlio, anche se – lavorando in una redazione dove si andava a casa molto tardi, a volte anche alle due di notte – la vicinanza a mio figlio è sempre stata un concetto relativo.
E poi, mi andava di vedere cos’aveva questa città da offrire a me.

stanca

Perché scrivo questo?
Perché sono stufa.
Agra.

spiego

Di che?, uno si potrebbe domandare.
Lo voglio spiegare.

destra e sinistra

Io non credo di poter venire definita una donna di destra.
Lavoro in un quotidiano che non credo possa venire definito un giornale di sinistra.

ferocia di replicanti

Vivo in una città leghista e feroce, in cui le relazioni umane sono difficilissime, e – in senso generale – moralisticamente orientate a trovare il «baco» nella persona che ti si para di fronte.
Trovare il neo negli altri riconferma la propria regolarità.
Qui, l’occupazione che prende la maggior parte del tempo consiste nel fornire a se stessi le condizioni per «sentirsi a norma». Magari non delle leggi, ma standard sì; omologati, direi.
Una bella comunità di uguali, replicanti certificati.

colleghi

Ho colleghi che lavorano con me; e altri che, in città, lavorano in altri giornali.
Alcuni li stimo; altri – com’è normale, ritengo, e forse pure reciproco – no, affatto.

web

Da qualche tempo lavoro al sito web del giornale: settore-non settore assai particolare per una lunghissima serie di motivi, in parte oggettivi e in parte peculiari dell’azienda in cui lavoro.

la domanda

Di cosa sono stufa, dunque?

un po’ di cautela

Di chi dimentica – o non sa, e la cosa gli sembra ininfluente: perché la questione è qui, nella rilevanza che si attribuisce al «non sapere» – chi sono, qual è la mia storia anche individuale, cosa faccio, cosa tento di fare, a quale prezzo, e con quanta passione, e decide di criticarmi senza rispetto, senza dubitazioni, per così dire da sinistra, sostenendo che sono una privilegiata perché prendo uno stipendio, e che non è proprio il caso che io tenti di spacciarmi per una che sta dalla parte della sinistra, perché quelli di sinistra lavorano tantissimissimo, vengono pagati pochissimissimo, e – aggiungo io, e purtroppo corrisponde a verità – in qualche caso, dall’alto della loro collocazione a sinistra, riescono perfino a non avere la minima crisi d’identità quando definiscono per iscritto i venditori ambulanti stranieri come «vù cumpra’».

pancia-piena

Sono stufa marcia di chi, percependo che non sono una donna di destra, mi dice che sono la solita comunista di merda, come tutti i giornalisti con la pancia piena, mentre loro, invece, prendono pochissimi soldi al mese, ed ecco perché votano la Lega, perché la Lega è l’unico partito di massa-popolare-moderno-rivoluzionario-cheintercettaibisognidellagente…

privilegi da vecchi

Di chi, più giovane di me, ritiene che io goda dell’incredibile privilegio di un posto fisso che invece spetterebbe certamente a qualcuno più giovane di me e – va senza dire – sicuramente più bravo di me (se un trentenne è precario, invece di incazzarsi con me potrebbe forse incazzarsi con chi lo rende precario; cioè i «padroni». Ma non fa niente).

romeni merda

Di chi, razzista, vorrebbe che scrivessi che i romeni e i terroni sono merda.

sinistra

Di chi, da sinistra, sostiene che come pretendo di dire cose di sinistra, io che lavoro in un giornale che non è di sinistra?

destra

Di chi, da destra, sostiene che come pretendo di dire cose di sinistra, io che lavoro in un giornale che non è di sinistra?

dentro

Di chi, da dentro il giornale, sostiene che come pretendo di dire cose di sinistra, io che lavoro in un giornale che non è di sinistra?

fuori

Di chi, fuori dal giornale, sostiene che come pretendo di dire cose di sinistra, io che lavoro in un giornale che non è di sinistra?

io non voglio

Ecco.

Io non voglio dire cose di sinistra. E non perché creda alla balla della morte (o, assai peggio, dell’inutilità) delle ideologie.

basta ferocia

Io vorrei solo essere una normale lavoratrice intellettuale, alla quale sia consentito esercitare il diritto di critica. Vorrei evitare di contribuire alla ferocia di questo Paese.

birra

Ieri pomeriggio sono passata davanti a un giardino del centro.
Un ragazzo straniero – forse dell’Africa del nord – era seduto su una panchina.
Gli si sono avvicinati un carabiniere e un soldato in mimetica.
Gli devono aver chiesto i documenti, perché lui tendeva il braccio in fuori, tra le dita un foglio.
Il carabiniere ha preso la lattina di birra di questo ragazzo e l’ha svuotata nel tombino.

tutti zitti, me compresa

Nel giardino c’era un sacco di gente.
Fidanzatini, gruppi di ragazzi, anziani.
Nessuno ha detto niente.

diritti

Di chi era quella birra? Chi l’aveva comprata? Chi dà a un carabiniere il diritto di buttare via una cosa che non è sua? Chi dà a chiunque il diritto di mancare così profondamente di rispetto a un altro essere umano?

ubriachi

Mi si potrebbe dire che quel ragazzo correva il rischio di ubriacarsi, o magari era già ubriaco fradicio.
Sì.
Ma la sua ubriachezza era ipotetica, e nessuno poteva dire se sarebbe diventata molesta oppure no, indipendentemente da quanti siano statisticamente i precedenti, per lui, i suoi amici, i suoi fratelli e i suoi parenti tutti
.

cravatte

Nessuno avrebbe mai svuotato una lattina a un italiano.
Men che mai se fosse stato vestito bene.
Lui poteva essere ubriaco fradicio; poteva aver bevuto il mondo, se aveva – per esempio – la cravatta.

minoranza

Ragionevolmente, adesso: in una città come questa, con quest’amministrazione comunale (che nel comunicato stampa su un cagnolino lasciato morire specifica che la donna che aveva abbandonato il cane era «di origine meridionale»), e in un giornale mainstream, come si poteva raccontare, questa storia?
Come, se sei miei concittadini su dieci avrebbero detto che sono stanchi della violenza di questi bastardi di stranieri che vengono qui ci portano via il lavoro e ci violentano le donne e ci riempiono la città di rifiuti?

latte da veneti

Come, se il presidente leghista della giunta regionale Zaia dice che si ritiene offeso da chi giudica razzista la bozza di statuto regionale in cui vige il principio «prima i veneti», ritiene che a un «non veneto» siano sufficienti dieci anni per poter acquisire la qualifica di «veneto», e crede che un esame di «veneticità» serva a «dimostrare di conoscere quei principi fondanti che uno nato da queste parti beve con il latte materno»?

violenza

Sul sito del giornale dove lavoro, per esempio, arrivano commenti di violenza sconcertante. Me ne sento schiacciata. Se li pubblico, con uguale violenza reagisce chi se ne sente leso; se non li pubblico, vengo accusata di censurare la libera espressione dei pensieri dei lettori.

peso

Ma c’è – mi domando – un sistema per alleggerire il peso enorme della violenza anche inconsapevole di questo modo di dirsi le cose? C’è un sistema per non essere complice nella «scoreggizzazione» del reale? C’è una possibilità?

C’è un modo per ingentilire le relazioni umane?

energie

Perché, gira e rigira, il problema è sempre quello: io gli stronzi li posso anche ignorare, ma per ignorarli devo dilapidare tempo, risorse, energie. Devo ragionare, capire, inquadrare. Devo decidere che uno è stronzo; definitivamente stronzo, intendo, e perciò da ignorare. E decidere questa cosa mi richiede tempo.

brutalità

Invece, in giro c’è un sacco di gente che per prima cosa decide che tu – chiunque – sei stronzo. Poi – solo dopo, e a seconda della situazione – ti sputa in faccia (sputa in faccia a chiunque), ti accoltella (accoltella chiunque), ti dà uno schiaffo (dà uno schiaffo a chiunque), ti prende a maleparole (prende a maleparole chiunque), ti fa la guerra (fa la guerra a chiunque)…

politica

E la questione non è risolvibile nell’ambito delle relazioni e delle speranze individuali. Questa è politica.
E su questo il mio senso di isolamento è profondo e doloroso.
Anche perché la gente che potrebbe capire e non capisce è troppa.