da emma ai tq passando per la de filippi

Da qui:

«Caro presidente» (è Berlusconi), «lo facciamo tutti i giorni» (qualcosa per l’Italia), «perché noi lo teniamo in piedi questo Paese contribuendo per il 70% del Pil!».

rischio d’impresa

Magari il punto esclamativo ce l’ha messo il giornalista; ma quanta arroganza c’è – anche senza il punto esclamativo – in una frase come questa?
Uno dei giornali in cui ho lavorato portò i libri in tribunale; ebbi, come liquidazione, una minima parte di quel che mi sarebbe spettato.
Il capitale sociale era dieci milioni di lire.
Il rischio d’impresa, insomma, l’avevamo assunto noi lavoratori.

e senza i lavoratori?

Mi domando chi sia, realmente, a contribuire per il 70 per cento del prodotto interno lordo.
Quanta parte del pil questi arroganti industriali riuscirebbero a produrre, senza i lavoratori ai quali stanno levando i diritti uno per volta, e loro zitti, ché tengono famiglia, sindacalisti compresi.

vecchi, pregiudiziali e demagoghi

D’altra parte, il Corriere commenta con straordinaria efficacia:

C’è anche una parte del sindacato (la Fiom ovviamente) che non vuol capire i cambiamenti in corso e «che in molte situazioni non contratta più», c’è un pregiudizio anti-industriale della magistratura (vedi condanna Thyssen), c’è un’inaccettabile demagogia che pervade molte cose come, per esempio, la cosiddetta «privatizzazione dell’acqua».

la sconfitta è gigantesca: altro che petizioni

I giudizi son tutti fuori dalle virgolette.
I giudizi son condivisi dal giornale.
Vuol dire che questa è la vulgata.
Vuol dire che si immagina che nessuno si scandalizzi.
Vuol dire, in sostanza, che la dimensione della sconfitta è infinitamente più grande di quello che i fiduciosi appelli firmati sui giornali o per i giornali dagli intellettuali per – direi così – «cambiare le cose» ci possano lasciar pensare.

fiom uguale scoria

Vuol dire che almeno i lettori del Corriere sono pronti ad accettare l’idea che la Fiom è sostanzialmente scoria, rifiuto, merda.

sette morti, ma che sarà mai?

Vuol dire che siamo pronti a sentirci dire senza sobbalzare che la condanna penale ai vertici della ThyssenKrupp per la morte di sette lavoratori (sette lavoratori) la cui incolumità essi avrebbero avuto l’obbligo di tutelare equivale alla dimostrazione di un «pregiudizio anti-industriale» (quanta impudenza).

l’acqua è mia, demagogo che non sei altro

Vuol dire che accettiamo l’idea che qualcuno che nel mercato dell’acqua (mio dio, il mercato dell’acqua) ci venga a dire che la privatizzazione dell’acqua non è effettivamente la privatizzazione dell’acqua, ma semplicemente la «cosiddetta» privatizzazione dell’acqua, sulla quale – mon dieu – si fa, eh signora mia, un’«inaccettabile demagogia».

le cose «giovani»

La Fiom («ovviamente») non vuol capire i cambiamenti, dunque è quantomeno retriva, «conservatrice» (ed ecco come la retorica nuovista-giovanilista sbeffeggia l’ipotetica difesa dei diritti dei lavoratori).
La condanna ai vertici della Thyssen sposterà gli investimenti fuori dall’Italia, e dunque sarebbe bene che questo Stato si dotasse di un sistema di sanzioni più leggerino, di modo che qualche violazioncella sia sempre consentita senza troppe conseguenze. Se facciamo la faccia cattiva con gli imprenditori sovrani che portano i dindini, come facciamo, poi? Vi facciamo tutti rimanere a casina senza lavoro, eh, brutti mendicanti di operai che non siete altro?
L’acqua mica si privatizza, poi. Eventualmente, grazie alla straordinaria efficienza di noi imprenditori, se ne «ottimizza» la gestione. Il resto è ideologia, idioti che siete.

elicotteri

L’assise è finita, Della Valle, Montezemolo e Nerio Alessandri se ne vanno sui loro elicotteri.

se li meritano

Proprio come noi quando abbiamo finito di lavorare, o di elemosinare un contrattino co co co.
D’altra parte, il 70 per cento del pil lo producono loro, no?
Gli vorremo lasciare un piccolo elicottero per tornare velocemente a casa, in quella piccola tenuta ai margini del bosco, là, vicino al mare?
Gli vorremo lasciare le auto, l’autista, le detrazioni, il personale di servizio, la voce in capitolo e anche un po’ di potere?

il potere destro e sinistro dell’argomento dell’invidia

O per l’invidia sociale – strano, no?, quanto quest’accusa dell’invidia arrivi uguale uguale da destra e da sinistra a colpire chi critica, chi dissente… – vorremmo levar loro tutto quanto?

bellibravibuoni

Pronto come un centometrista ai blocchi di partenza, ecco Dario Di Vico:

La buona notizia è che a Bergamo la Confindustria ha cominciato a farsi le domande giuste.

informare? e perché mai?

Ah, meno male.
Quali?
Non c’è scritto.
Basta che lo sappia lui, quali sono le domande.
Basta che lo sappia lui, che sono le domande giuste.
A noi che lo leggiamo cosa mai potrà importare?
Dario è il nostro profeta.

malessere…

D’altra parte, uno che parla del «malessere degli industriali» (sarà il mal d’aria da elicottero, povere creature?) non può che essere un profeta.

braveheart

E a Bergamo la Confindustria ha iniziato a farlo con la logica del «piuttosto che aspettare la politica, cominciamo noi». Che altro ragionamento, se non questo, c’è dietro la coraggiosa proposta di prendersi in carico l’Istituto del commercio estero (Ice), uno strumento decisivo per l’affermazione dell’export italiano?

il «padrone»? roba vecchia

Già.
Che altro ragionamento può esserci, dietro questa «coraggiosa proposta»?
Potrà mai esserci l’ideologia della privatizzazione come risoluzione di tutti i mali?
Potrà mai esserci l’idea che se faccio da me pubblicizzo nel mondo quel che fa comodo a me?
Potrà mai esserci un’intenzione privatistico-padronale?
Ma no!
C’è solo un «piuttosto che aspettare la politica, facciamo noi».

potere

Grande idea.
La politica non serve a un cazzo, d’altra parte, quando si hanno i soldi e si detiene un potere di ricatto.

idee geniali

Gli industriali si sono candidati a investire per favorire la diffusione della lingua inglese, a organizzare un mall a Berlino per i marchi del made in Italy di fascia media, a finanziare cattedre di mobilità per far rientrare nel Paese i migliori ricercatori. Non sottolineare il cambio di cultura che sta dietro quest’assunzione di responsabilità sarebbe a questo punto un’omissione.

omissioni

Parole sante.
Non sottolineare che questo significa fare da padroni delle ferriere che hanno chiesto «quanto costa, qua, la baracca?» e si son sentiti rispondere «prego, costa fra i tre e i quattrocento euro» sarebbe a questo punto veramente un’omissione.

il frustino e i migliori (the best)

Incentivano l’inglese.
Dei grandissimi.
Un’idea mai sentita. Eccezionale. Nuova. Fantastica.
Fanno «cattedre di mobilità».
Ma che diavolo sono le «cattedre di mobilità»?
Forse quelle cose che, create grazie ai soldi degli industriali, devono essere concesse a chi degli industriali sia in grado di promuovere (scientificamente, ci mancherebbe altro) gli interessi?
E chi sono i «migliori ricercatori»?
Lo decide la Emma col frustino?
Tu sì, tu no, tu ni…

i territoriiiiiiii!!!!!

E adesso, attenzione:

La seconda novità di Bergamo riguarda il modo di operare di Confindustria.
Oggi quella presieduta da Emma Marcegaglia si presenta come un’organizzazione a delega eccessivamente lunga, incomprensibile nell’epoca di Facebook e Twitter come si è visto persino dal resoconto pubblico dei lavori di ieri.
C’è un centro romano pletorico e molte duplicazioni di strutture, la vita interna si svolge lungo cerimoniali e procedure che non hanno più ragione d’esistere e via via si è formato un ceto di «professionisti della rappresentanza» – come li ha definiti dal palco l’ex direttore generale Stefano Parisi -, continuamente a caccia di una presidenza.
(…)
Ridisegnare Confindustria non è un’operazione che si possa chiudere in 24 ore, però a Bergamo è parso chiaro che la riforma passa da un rinnovato protagonismo di territori e categorie.

facebook e twitter sono leghisti

Un ragionamento articolato assai, che in estrema sintesi dice: la leghistizzazione della Confindustria è necessaria perché ci sono Facebook e Twitter.
«Territori» è parola leghista, completamente insignificante agli occhi di chi non abbia interiorizzato il gergo della Lega.
«Protagonismo» è una parola di sinistra, e quindi indirettamente ci viene anche detto che essere leghisti e stare dalla parte dei padroni è, se non una cosa di sinistra, almeno una cosa progressista.
D’altra parte, avevamo già acclarato che la Fiom è merda.

i tq

Ora.
Mi viene in mente questa cosa degli intellettuali trenta-quarantenni che si domandano «come possiamo interferire sul reale?».
Parlo del seminarione che s’è tenuto il 29 aprile nella sede della Laterza a Roma, quello che si poneva il problema di «superare la linea d’ombra».

il luogo conta (il mezzo è il messaggio?)

Giusto. Sacrosanto.
Ma mi domando: ha senso chiedere a se stessi di «interferire sul reale» quando si scrive, faccio per dire, per giornali che alimentano queste letture della realtà?

paesaggio nuovista

La risposta è «sì».
Perché sempre sul Corriere.it di oggi c’è anche un pezzo che almeno in parte ripropone il paesaggio che, avendo letto cronache e interviste sui/dei tq, mi viene da pensare – posso sbagliare, però; e lo spero pure – che i tq considerino come il loro paesaggio: quello di una generazione di persone che hanno molti crediti da riscuotere.

innoviamo!

Titolo del pezzo:

Giovani che vogliono innovare
Milano diventa capitale delle idee

chi ci ha preceduto ci ha rubato il futuro

Qui c’è un pochino di nord-centrismo, e questo ai tq mi sembra estraneo.
Ma quest’idea del «noi siamo giovani, bravi, innovatori e quelli che son venuti prima di noi ci hanno rubato il futuro pur essendo molto meno bravi di noi» la percepisco comune; la convinzione del merito depresso la sento comune.

lo spottone di uno show

Consiglio la lettura del pezzo, perché è un capolavoro.
(E consiglio anche di seguire il link che «incappuccia» il nome di Celli).

Boom di progetti a Milano. Va in scena sabato 7 maggio nel capoluogo lombardo la quarta e ultima tappa del concorso «La tua idea per il Paese», promosso dall’associazione di giovani under 35, presieduta da Pier Luigi Celli e Gianni Letta, ItaliaCamp.

Una competizione basata sulla formula dei «BarCamp», ovvero delle cosiddette unconference (non-conferenze) di origine americana: incontri aperti e collaborativi in cui ognuno dei partecipanti può salire in cattedra ed esporre il suo pensiero.

Nel caso di ItaliaCamp, l’obiettivo è proporre – e realizzare – idee per rinnovare il Paese in sei diversi ambiti: lavoro e impresa; ricerca, scienza e tecnologia; energia, ambiente e infrastrutture; economia, finanza e mercati; cultura e sociale; politica, istituzioni e pubblica amministrazione.
Gli autori dei vari progetti hanno a disposizione cinque minuti per illustrarli e altri dieci per rispondere alle domande del pubblico.

Trenta le idee già selezionate nei tre precedenti appuntamenti di Roma, Lecce e Bruxelles (quest’ultimo organizzato con un altro network di giovani: RENA, la Rete per l’Eccelenza Nazionale che con ItaliaCamp ha sottoscritto una convenzione).

Altri dieci progetti verranno scelti nel corso dell’evento di Milano e parteciperanno alla scelta finale di dieci idee da realizzare nei mesi successivi grazie ad apposite «ItaliaUnits»: gruppi di lavoro cui partecipano anche possibili finanziatori e investitori.

parole importanti

Boom di progetti.
Va in scena.
Tappa.
Concorso.
Competizione.
Salire in cattedra.
Cinque minuti.
Trenta le idee già selezionate.
Evento.

«amici», e sai cosa scegli

Ma sono o non sono, mi domando, il lessico e l’idea di mondo di «Amici» di Maria De Filippi?
È o non è uno show?

cambiare il paese in cinque minuti

Idee per cambiare il Paese da esporre in cinque minuti?
Ma stiamo scherzando?
Cinque minuti per cambiare il Paese?
Ma non si vergognano, a prenderci in giro così?

e dentro…

Ecco cosa c’è dentro i giornali.
Ecco qual è il mondo la cui esistenza viene accreditata e propagandata.
E, per soprammercato, molti dei giornalisti che lavorano da dipendenti nei giornali vengono zittiti, marginalizzati, chiusi all’angolo, censurati, messi in condizione di non nuocere.

visibilità

Chi può veramente pensare che usare questi giornali per «unghiare la realtà» sia un’azione neutra, e non una legittimazione (magari perfino da sinistra) dei loro contenuti e dei loro modi?

Non è che, magari, il problema è la visibilità?

il cerchio si chiude

Per chiudere il cerchio, un elemento che ho realizzato solamente adesso, leggendo qui di questo anonimo imprenditore che ha usato Twitter per spiegare cosa accadeva nelle assise segrete della Confindustria a Bergamo:

«La sessione è stata aperta da contributi video di Scianna, Avallone e Murgia».

Direi che – se i nomi di battesimo relativi ai tre cognomi sono quello di un fotografo e quelli di due scrittrici – c’è poco da aggiungere, sulla centralità del tema della visibilità.

Se non, forse, questo.
Se si ritiene che il luogo dal quale si parla si situi lungo la linea del nostro orizzonte, ogni obiezione è evidentemente superata.
Cioè: è ovvio che faccio benissimo a parlare/scrivere/intervenire da un luogo nel quale sento, so, capisco, che le mie idee risuonano in sintonia con quelle del contesto.

Ma se così dovesse non essere, mi do solo due spiegazioni: o si ritiene che la propria forza (argomentativa? Mediatica? Culturale? Intellettuale? Morale?) sia così incommensurabilmente superiore a quella del contesto in cui si parla da riuscire a farci percepire ai nostri occhi «vincenti» su di esso.
O si ritiene che la propria visibilità è primaria rispetto a qualunque altra considerazione.

(In foto, la statua di James Larkin in O’Connell street a Dublino)