nepotismo a sud

Notizia: il nepotismo è uno dei flagelli delle università italiane.
Strumento per dimostrarlo: l’analisi delle ricorrenze statistiche dei cognomi.
Ce ne sono tantissimi di uguali.
Di per sé, dice il ricercatore – uno dei «cervelli» emigrati all’estero – è un lavoro «statisticamente rozzo», e non solo perché si può avere lo stesso cognome per questioni di omonimia.

Lo studio, ancorché «rozzo» per ammissione dell’autore, ha un titolo serissimo: «Measuring Nepotism: the Case of Italian Academia».

Il Corriere – qui – titola così:

La formula che scova, dice il Corriere.
Ics più ipsilon fratto zeta uguale pietra filosofale.
E che fatica «scovarla»…

Leggiamo:

Spulciando la banca dati del ministero dell’Istruzione, questo ricercatore di 35 anni ha controllato quante volte lo stesso cognome si ripete dentro le nostre 94 università.

Un lavoro lungo ma in fondo semplice, «statisticamente rozzo» come spiega lui stesso al telefono.

Perché avere lo stesso cognome non vuol dire per forza essere parenti, visto che ci possono essere casi di omonimia.

E perché le vie del nepotismo sono infinite, con la possibilità di concedere la spintarella ad amici, cugini e magari amanti che si chiamano in altro modo e quindi sfuggono ad un controllo del genere.

Dunque: il cognome uguale di per sé può non significare niente.
Fin qui ci siamo.
Andiamo avanti.

Tra gli oltre 61 mila professori e ricercatori a tempo indeterminato delle università italiane, ci sono 4.583 cognomi ripetuti due volte, 1.903 che compaiono tre volte.

Il record spetta ai signor Rossi, ovviamente, ce ne sono 255, seguiti da Russo, Ferrari e Romano.

Tutti sopra quota cento ma in fondo sono anche i cognomi più diffusi nel Paese.

E qui facciamo attenzione.
Finora non abbiamo mai trovato una sola affermazione che in modo tranchant sostenga che la ricorrenza dei nomi sia un indicatore chiaro e certo di nepotismo.
Anzi: a dispetto del titolo trionfalistico, abbiamo trovato solo attenuazioni. Analisi rozza, omonimie, le amanti non hanno lo stesso cognome di chi le piazza al lavoro

E andiamo avanti.

L’analisi diventa più interessante quando si calcola il tasso di nepotismo all’interno delle singole università.

Un momento.
Ma se hanno appena finito di dirci che quell’analisi non è idonea a misurare il nepotismo…
Di che «tasso di nepotismo» potremo mai stare parlando?
Come l’avremo mai calcolato, visto che abbiamo appena finito di dire che non l’abbiamo calcolato?
La riga successiva chiarisce meglio il punto.
Ahimè.

Le cose vanno peggio al Sud, con il primo posto assoluto alla Lum Jean Monnet, piccolo ateneo privato della Puglia, seguito da Sassari e Cagliari, mentre per trovare la prima università del Nord bisogna scendere fino alla 15esima posizione con Modena e Reggio Emilia.

Cioè.
Lo strumento è rozzo.
Il nepotismo non è misurabile attraverso la ricorrenza dei cognomi.
Però, per miracolo, quando si tratta di dimostrare che il sud è peggio del nord, ecco che lo strumento rozzo è perfetto per misurare la miseria del sud e l’eccellenza del nord.
«L’analisi diventa più interessante quando si calcola il tasso di nepotismo all’interno delle singole università».
Tasso di nepotismo?
E come si fa a calcolarlo, visto che il ricercatore ci dice che la sua è un’analisi rozza?

Non importa.
Chissenefrega.
L’importante è fare finta che esista l’ennesimo studio che acclara scientificamente l’inferiorità del sud.
E che il resto vada a farsi benedire.

Noi siamo meritocratici, che bravi.
Al sud non lo sono…
E chi si chiama per «reagire»?
Il rettore della Sapienza. Il quale non è che dica: ma che studio è? Quali basi scientifiche ha?
No.
Dice:

«La meritocrazia non ha cognome. Piuttosto si veda se uno studioso è bravo oppure no».

Ah, ecco.
È meritocratico anche lui.
La parolina magica.

Solo che quando la usa lui a noi sembra una parola da ridicolizzare, e quando la usano il ricercatore che utilizza – come da se stesso dice – uno «strumento rozzo» e (ubi maior…) il Corriere, beh, allora è una parola entusiasmante, il mitico rimedio.

Accoppiata alla dimostrazione che il sud è inferiore, poi, la meritocrazia ha un sapore assai più dolce e una magia più che potenziata.

E la cosa più curiosa è che, come in tutte queste situazioni, bastano poche parole per dare per assodate verità di fede – pardon: verità scientifiche – e occorrono camion di parole per smontare la semplice costruzione ideologica di queste affermazioni.
E siccome chi legge si annoia, vince lo slogan. Vince la sintesi «a sud son tutti corrotti e le università son piene di raccomandati».

Vero o no che sia, c’è modo e modo per sostenere le proprie affermazioni.
Dire che questo studio lo sia – e dopo aver sostenuto che non lo è! – non è, a me sembra, un buon modo…