pochi bocciati, occheppeccatone

Lo so, ne aveva già scritto (per esempio, qui) Repubblica.

Scrive oggi il Corriere, qui:

[…] quanto si temeva è stato confermato: addio severità, il numero dei bocciati nelle scuole superiori diminuisce sensibilmente.

Qualcuno mi spieghi per quale motivo io dovrei essere contenta che alle superiori si boccia di più, quando l’invocata «severità» dovrebbe misurarsi su parametri che nessuno mi spiega. Io potrei anche non condividerli… O è vietato?

Può, la «severità», essere un valore in sé?
Come l’«unità a tutti i costi» anche se non so con chi e per fare che, o il «dialogo» con persone con cui non ho la minima intenzione di parlare?

È ancora consentito avere la curiosità di sapere se l’invocata «severità» non sia uno strumento classista? O è una curiosità di troppo?

L’uso ideologico di nuove parole d’ordine ha creato un nuovo senso comune contro il quale non ci sono altre armi se non lo spirito critico.
Ma quello non te lo insegnano più nemmeno a scuola.
E quale severità vuoi invocare, a questo punto?
Quella dell’eseguire gli ordini a puntino?

Non so allontanare da me il sospetto che qualunque sia l’argomento, qualunque sia la conclusione alla quale un pezzo indirizza, l’obiettivo essenziale del momento sia sparare addosso al governo. E basta.

Post scriptum.
Mi pare curioso che nessuno si faccia venire questo dubbio: e se i promossi «in eccesso» rispetto alle stime dei Nostri avessero veramente meritato la promozione?