«solo» uno su due andrebbe all’estero…

Qui, Renato Mannheimer su posto fisso, reddito, aspettative…
Tutti quei temi sui quali adesso bisogna produrre pezzi, cifre, dati, statistiche, parole, di modo che si possa alla fine sostenere carta canta che l’Italia è già pronta, oppure no, che l’Italia non è pronta, o che sì, i giovani non vedono l’ora, o che invece mah, i ragazzi non c’hanno intraprendenza e son sfigati e mammoni.

È la tipica situazione da ingorgo comunicativo, insomma; ogni nuovo intervento pretende di tagliare la testa al toro in ragione di dati statistici oppure di considerazioni supportate – ovviamente – da esperti effettivamente tali o sedicenti. È, in genere, la fase pre-terminale di un processo nel quale sta per succedere qualcosa di importante: la socializzazione della perdita di un diritto, propagandata tuttavia come modernizzazione, o – dai più sentimentali – come «lusso che non ci possiamo più permettere».

Comunque.
Mannheimer.
Ecco cosa scrive:

Per conquistare il posto fisso, la netta maggioranza dei giovani italiani è disposta ad affrontare molti sacrifici, compreso quello di trasferirsi lontano da casa propria.

In particolare, oltre il 70% – e ancor più tra i residenti nel meridione e nel Nord-Est – si dichiara pronto ad accettare un lavoro anche lontano dalla propria regione di residenza (ma il 30%, quasi uno su tre, non risulta disposto a una soluzione simile).

Invece solo poco più di metà (56%) dei giovani italiani dice sì all’idea di un posto di lavoro, anche se fisso, in un altro Paese europeo.

Solo poco più di metà?
Stiamo dicendo che più di un ragazzo su due è disponibile a cambiare non comune, non provincia, non regione, ma addirittura Paese, e a Mannheimer questo 56% pare poco?

Mi devo essere persa qualcosa che, invece, non è sfuggito ai potentissimi radar del Corriere.